sabato 25 aprile 2020

Scultura lignea napoletana dell’Ottocento tra Napoli e Calabria:
 il caso di Arcangelo Testa e i suoi modelli 

  di 
Francesco De Nicolo 




Dalla Santa Veneranda di Polistena alla Sant’Irene di Altamura: un’attribuzione a Gennaro Franzese


di
 Francesco De Nicolo e Arturo Serra Gómez









mercoledì 15 aprile 2020

Editoriale Anni VI-VII, 11-14, 2011, di Mario Panarello

Anni VI-VII, nn. 11 - 14, 2013-2014

Editoriale


di Mario Panarello

MATTIA PRETI E LA CALABRIA


Com’è noto a molti, nel percorso della storia dell’arte moderna calabrese, è imprescindibile confrontarsi con la figura di Mattia Preti, un artista cosmopolita che si proiettò oltre i limiti principali provinciali, verso dimensioni e tensioni artistiche di ben altra portata rispetto a quelle dimesse che il territorio visse nel Seicento. E’ stato spesso sottolineato come il legame particolare con la committenza e con la sua città natale abbia determinato l’arrivo dei numerosi dipinti di Taverna che soprattutto nel tempo diventarono un riferimento indispensabili per i pittori del territorio, mentre oggi rappresentano per gli storici dell’arte una delle vette più elevate per qualità e complessità della tradizione storiografica regionale. Esperide, purtroppo in ritardo con le uscite delle annate precedenti, aveva programmato da tempo di celebrare il quarto centenario della nascita dell’artista, contraddistinto da diverse iniziative culturali, con un volume speciale che accorpasse due anni e contenesse quattro numeri, nei quali raccogliere saggi diversi su problematiche storico-artistiche legate alla figura del pittore di Taverna. I contributi, coerenti con lo spirito della rivista, affrontano tematiche connesse con la regione e al contesto meridionale, trattando di argomenti di più ampia portata, come quello sviluppato da Miguel Hermoso Cuesta, che impernia la sua analisi sull’attività di Mattia Preti e Luca Giordano intorno al 1656, quando i due artisti si confrontarono a Napoli, o quello di Renato Ruotolo che ripercorre le vicende dei perduti affreschi della cupola della chiesa napoletana di San Domenico Soriano, da sempre legata ai calabresi per l’importanza del culto dell’immagine acheropita del Santo. I restanti contributi puntano l’attenzione su questioni critiche, storiche e storico-artistiche e rivolte al territorio regionale, ma non per questo limitati anzi il taglio prescelto ha imposto di concentrare l’attenzione su argomentazioni mai prima affrontate e su diverse altre ancora da sviluppare che, a nostro avviso, hanno arricchito molto il panorama critico degli studi pretiani, apportando novità di rilievo anche lì dove i temi non riguardano strettamente il pittore di Taverna, ma in vario modo collegati alle premesse della formazioni o all’eredità da lui trasmessa. In molti casi è stata una sfida la scelta di argomenti particolari che, nonostante alcune difficoltà, hanno messo in luce diversi aspetti spesse volte originali. Inoltre i differenti tagli critici e metodologici con i quali le tematiche sono state affrontate hanno interessato opere e argomenti mai prima trattati che, sebbene siano suscettibili di approfondimenti, possono rappresentare indubbiamente un punto di riferimento per ricerche più ampie. Dunque, non si è rivelato un limite il concentrarsi su tematiche strettamente regionali, ma anzi, attraverso la difficile ricomposizione di trame spezzate dal tempo, la ricerca ha portato alla formulazione di contributi nuovi. La presenza di saggi di uno stesso autore dipende dal fatto che, come già rimarcato, questo numero speciale ne accorpa ben quattro semestrali, a questo si aggiunga che l’iniziativa, programmata già da diverso tempo, ha incontrato il favore di molti i quali però in fase di gestazione dell’opera, per varie ragioni, hanno declinato l’invito. Da qui la difficoltà di reperire articoli specifici destinati alle diverse sezioni della rivista, mentre alcune tematiche identificate dal curatore, necessarie di significativi sviluppi, sono rimaste eluse per la mancata disponibilità di studiosi desiderosi di affrontare nuove avventure di ricerca. Tra i contributi che sono partiti dall’analisi di tematiche più strettamente connesse alla regione vi è quello di Dario Puntieri che ha analizzato le suggestioni critiche affioranti da uno scritto giovanile di Alfonso Frangipane dedicato a Taverna e al suo patrimonio artistico, ancora oggi incredibilmente attuale. Quello redatto a quattro mani dal sottoscritto e Domenico Pisani mira a raccogliere le diverse fonti che tra Settecento e Novecento hanno interessato l’attività del pittore di Taverna, nonché la sua fama attraverso i ritratti diffusi principalmente nel Regno napoletano. Il corposo scritto di Umberto Ferrari fornisce una nuova visione dei fatti storici che hanno contraddistinto Taverna tra Cinque e Seicento attraverso il supporto di molti documenti inediti. Anche il contributo di Bruno Alessio Bedini fornisce una nuova panoramica sui cavalieri gerosolimitani calabresi al tempo di Mattia Preti. Un saggio sul culto di San Giovanni in Calabria e sulla straordinaria diffusione di opere cinquecentesche in marmo e di dipinti, redatto da chi scrive, indaga anche la diffusione della devozione attraverso il suddetto ordine cavalleresco. Domenico Pisani è invece l’autore di uno scritto che analizza la committenza e le vicende legate ad alcuni importanti dipinti pretiani che vanno oltre il corpus cospicuo delle tele tavernesi. Il contributo del giovane Antonio Cosentino affronta con una capillare analisi un tema inedito; il collezionismo legato alle opere pretiane presso importanti famiglie collegate alla Calabria e vissute nelle suntuose residenze sparse nei centri del regno napoletano. Ancora Pisani firma un breve scritto nel quale presenta un’inedita tela di Preti custodita presso una collezione catanzarese. Un nuovo taglio di lettura , in chiave iconologica, del celebre dipinto del Cristo fulminante è affrontata da chi scrive attraverso una complessa analisi che mette in luce alcuni velati significati dell’opera. Lo stesso curatore, a quattro mani con Dario Puntieri, analizza il dipinto della Madonna del Rosario mettendo in luce le implicazioni iconografiche connesse all’ambientazione architettonica , mentre nel saggio successivo affronta la tematica delle copie prevalentemente settecentesche di dipinti pretiani esistenti nella regione. Giovanni Autilitano è l’autore di un breve saggio su un dipinto catanzarese di scuola pretiana dove evidenzia la dipendenza del modello iconografico da dipinti celebri dell’artista e del suo ambito. Ancora su un singolo dipinto di Preti disperso, e sulle vicende ottocentesche, concentra l’attenzione Giuseppe Valentino grazie all’acquisizione di nuovi darti archivistici. Il successivo saggio a cura dell’autore di questo editoriale propone un excursus sulla pittura in Calabria al tempo di Mattia Preti, restituendo nuovi elementi utili per rileggere la formazione pretiana e la tarda produzione artistica in Calabria, connessa al grande artefice. Pisani è ancora l’autore di un originale saggio sull’iconografia pretiana del Novecento celebrata attraverso bozzetti, sculture a tutto tondo e medaglie onorarie. Chiude la successione dei saggi una breve scheda di restauro a cura di Vito Sarubo sui lavori da poco terminati della confraternita del Santissimo Salvatore annessa alla chiesa di Santa Barbara a Taverna. Lunga la sezione delle recensioni dedicata prevalentemente a pubblicazioni connesse alla figura dei Preti o a studi strettamente correlati pubblicati non solo sino al 2014, ma anche oltre per consentire agli studiosi di avere un panorama il più ampio possibile relativo agli studi sull’artista. Per il presente numero, proprio per le sue peculiarità, è stato predisposto uno speciale gruppo di consulenti scientifici diverso dal consueto comitato comparso nelle precedenti annate. Di esso faceva parte Giorgio Leone purtroppo scomparso alla fine dello scorso anno il quale, come è noto a tutti, ha speso molte energie per la conoscenza del patrimonio artistico calabrese e della figura di Mattia Preti. Scomparso pure Carlo Longo, esimio studioso dell’ordine domenicano, uno dei consulenti del comitato scientifico della rivista che sin dal suo nascere ne salutò con entusiasmo la fondazione.

Editoriale Anno V, 9-10, 2012, di Domenico Pisani

Anno V, nn. 9-10, gennaio - dicembre 2012

Editoriale


di Domenico Pisani

IN CALABRIA TRA ARTE E FEDE: PROBLEMI DI TUTELA DEI BENI CULTURALI


«Le ragnatele| dietro i vetri, le madonne| le ragnatele del Carmine| la ragnatela di Portosalvo| la ragnatela della Quercia». Così recitano alcuni versi tratti dal Canto dei nuovi emigranti (1964) di franco Costabile, poeta di Sambiase, uno dei più importanti del Novecento calabrese, Rileggendoli sembra di poter toccare con mano l’incuria , l’abbandono in cui versano diverse chiese, sparse per la Calabria, piccoli contenitori di capolavori d’arte misconosciuti. In molti paesi, infatti, il Concilio Vaticano II, gli altari laterali, caduti in disuso, furono in alcuni casi smantellati e in altri dimenticati segnando il loro degrado, Stessa fine fecero gli affreschi, imbiancati a calce, e gli arredi sacri, come le cartagloria, i candelabri, le cornucopie e le lampade votive, spesso realizzate on argento. Nel corso della campagna fotografica e di studio sulle statue lignee serresi, pubblicata in questo numero, non è stato raro imbattersi in opere, che solo qualche anno fa possedevano ancora le loro cromie originali, malamente imbrattate da incompetenti con smalti sintetici. Certo, la spinosa questione del “rinnovo” delle statue lignee andrebbe affrontata in modo chiaro: per culpa in vigilando di più d’uno , e pro bono pacis verso una Chiesa spesso disattenta nei confronti delle problematiche artistiche, improvvisati restauratori hanno avuto agio di ridipingere a smalto, deturpare, violentare le più belle statue lignee della Calabria inficiando spesso ogni possibilità attributiva e seppellendo le firme degli statuari, apposte sulle iscrizioni dedicatorie delle basi, sotto molti strati di colore. La cancellazione della memoria viene così operata sistematicamente, lentamente e inesorabilmente. Vi sono molti esempi del genere: il rinnovo delle statue, degli altari, di settecentesche porte bugnate destinate a legna da ardere e sostituite con opere nuove, è passato come un ciclone distruttivo a causa di un’ansia compulsiva da ammodernamento tra gli applausi di chi gode nel vedere colori brillanti, magari acrilici, spennellati sulle superfici scolpite. Queste considerazioni, purtroppo non sono nuove: si obietta che la casa di Dio non è un museo – o che le istanze della devozione collidono con il rispetto tout court delle opere antiche – ignorando i principi della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. E intanto le sculture lignee processionali, che giacciono chiuse in teche rovinate o in nicchie scrostate e impolverate, attendono il pennello innovatore di qualche “dotto” che sposta e distrugge, acquiescente verso chi lo mantiene. Oggi gli scultori e gli intagliatori, in passato definiti con dispregio “santari”, hanno acquisito una dignità tale da essere considerati veri e propri maestri della scultura lignea, i cui esiti sono presi in considerazione da rari nantes della ricerca artistica. Le loro opere devono essere lette, diversamente da altri manufatti, insieme alle oreficerie di corredo e agli aneddoti che ne costituiscono parte integrante. Si prestano ad indagini sociologiche ed antropologiche, raccontano la religiosità popolare e sono un elemento fondamentale delle microstorie dei luoghi. Sono frutto materiale di sacrifici dovuti alle confraternite laicali che per agevolare le pratiche di pietà hanno fatto realizzare nel tempo insegne, attributi iconografici di santi, ma soprattutto imponenti fercoli processionali che, devastati oggi dal porporina, hanno perso l’originale meccatura o, addirittura, la doratura a foglia. La sensibilizzazione nei confronti di un patrimonio così importante è uno dei compiti di questa rivista che si propone di far conoscere i beni culturali regionali per favorirne la tutela. Solo con questa finalità, che dovrebbe accomunare tutti, senza preclusione alcuna, la divulgazione del patrimonio artistico permette di acquisire la consapevolezza delle radici storiche della Calabria, a partire dalla cultura materiale delle classi subalterne. "Esperide", infatti, è nata come un tentativo, frutto della sinergia di archeologi, di storici dell’arte, di restauratori ma anche di appassionati e cultori della materia, di ragionare su ciò che questa regione possiede, in maniera libera senza condizionamento alcuno, men che mai politico, considerato che non gode di finanziamenti pubblici, per tramandarlo a chi vorrà fruirlo, nella sua interezza, ricordando sempre che tempus edax, homo edacior.

martedì 14 aprile 2020

Editoriale Anno IV, 7-8, 2011, di Mario Panarello


Anno IV, nn. 7-8, gennaio – dicembre 2011

Editoriale


di Mario Panarello

SULLA VIA DEL RISCATTO


Afflitta da una congerie di problemi di varia natura che costituiscono il freno per uno sviluppo coerente all’interno di un contesto socio culturale ricco di scambi internazionali sempre più fluido, la Calabria prosegue a rilento, non senza macroscopiche contraddizioni, la via verso il riscatto della propria identità artistica. La scollatura fra l’urgenza di un recupero attento in ogni settore delle arti e l’effettiva attenzione riservata ai beni culturali del nostro territorio da parte di quanti sono chiamati non solo alla tutela, ma ad una coerente valorizzazione del patrimonio, si avverte sempre di più. Sarebbe certamente arduo ricercare le complesse ragioni di una tale disfunzione, aggravata oggi senza dubbio da una crisi economica in relazione alla quale la necessità del recupero materiale e culturale del patrimonio artistico parrebbe non prioritaria. Tuttavia, i problemi che creano gli effettivi vincoli sono e continuano ad essere principalmente endemici ad un paese che ancora stenta a strutturarsi, assorbito da interessi economici oltre ogni ragionevole bisogno, dove è imperante la speculazione e l’indolenza, imbrigliato da conflittualità inutili, alimentate dall’ignoranza e da logiche irrazionali, dove la sensibilità è un valore di pochi, spesso appannaggio di quelli che non contano. Con questa consapevolezza ci accingiamo a pubblicare, con una naturale fatica che giustifica il ritardo considerevole, rispetto ai tempi di stampa previsti, un altro numero doppio della rivista Esperide dedicata alla conoscenza dei beni culturali calabresi, ovviamente vittima delle molteplici dinamiche negative che segna non il nostro territorio, poiché anche quanti se ne occupano non dimostrano un’adesione sincera e anzi preferiscono il silenzio alla produttività, alimentando equivoci, conflitti, critiche sterili in un gioco di adesione ad inutili partiti che sembrano clonare più che le improduttive contrapposizioni della politica attuale, giochi infantili diretti a conservare primati fittizi. Per fortuna la ricerca offre soddisfazioni che sembrano neutralizzare ogni conflitto, soprattutto quando ci si rende conto dell’importanza scientifica della stessa. La rivista ha una vocazione particolare: quella di raccogliere le tante voci sparse nel territorio che con spirito di sacrificio e abnegazione investono energie per fare affiorare la bellezza nascosta. In particolare, un deterrente anche per lo sviluppo di un’autocoscienza estetica proiettata sullo spazio urbano è il forte degrado che investe le nostre architetture storiche. Fortunatamente, c’è chi si prodiga a valorizzare architetture, completamente in rudere, modificate e spesse volte decontestualizzate perché inserite in un tessuto degradato che progressivamente va perdendo la sua identità, oppure manufatti artistici frammentari e pesantemente alterati. Per molti casi solo attraverso l’analisi di alcuni documenti è possibile restituire ai luoghi l’originaria facies, facendone riemergere l’essenza, le ragioni e il significato. L’isolamento di un’opera rispetto alla sua collocazione e alla sua condizione storica sembra essere un comune denominatore di molti centri che hanno perso non soltanto gran parte del patrimonio, ma la documentazione stessa necessaria per ricucire le parti di un tessuto ''sfibrato'' che non rivela più il complesso intreccio che un tempo unificava le manifestazioni artistiche. In questa situazione non certo esaltante il lavoro di recupero da parte di studiosi non necessariamente ''affermati'', ma spinti da un sincera passione, spesso soffocata da un sistema viziato, diventa essenziale per gli obiettivi che la rivista intende perseguire. L’indagine delle diverse manifestazioni artistiche, da quelle più auliche a quelle popolari, rappresenta un fattore di conoscenza di un humus culturale che nel corso della storia si è sedimentato, costituendo il substrato della nostra cultura. Accanto allo studio delle opere di maggiore rilievo appare necessario guardare con attenzione nuova le manifestazioni apparentemente minori che non sempre manifestano una ingenuità espressiva, ma esprimono temi e significati di linguaggi colti, con la consapevolezza che anche un piccolo frammento recuperato è fonte di ricchezza per una realtà così disgregata ma il cui recupero è sicuramente necessario per comprendere meglio anche le dinamiche ''della grande storia''.

lunedì 13 aprile 2020

Editoriale Anno III, 5-6, 2010, di Domenico Pisani

Anno III, nn. 5-6, gennaio-dicembre 2010

Editoriale

di Domenico Pisani

POLITICA, CULTURA, SOCIETÀ: UN TRIANGOLO SPEZZATO


Mi accingo a scrivere queste brevi note introduttive consapevole che ben pochi le leggeranno: lo faccio perché, dopo aver assunto l’incarico di Coordinatore del Comitato Scientifico di questa rivista, ne ho sentito subito il peso ed è pertanto doveroso esprimere il mio pensiero. Purtroppo una politica miope priva molte iniziative legate alla Cultura della possibilità di attingere a finanziamenti pubblici, che vengono, però, profusi a piene mani per tutto ciò che può facilmente tradursi in voti e clientele. Abbiamo dovuto prendere atto che non è ritenuto opportuno finanziare iniziative “di nicchia”, fruite da poche persone e, anche se non si possono dare tutti i torti ad assunti come questo, si può, tuttavia, argomentare che in Calabria non c’è un’altra rivista che si occupi esclusivamente di studi sulla storia dell’arte e della valorizzazione del suo patrimonio artistico in modo scientifico. E questo perché sono purtroppo in molti a pensare che l’arte in Calabria sia legata solo al nome di Mattia Preti e che tutto il resto sia riconducibile ad arti minori prodotte dalle classi subalterne. L’intento è, dunque, quello di far capire, anche catturando l’attenzione di un pubblico non specializzato, che questa terra non desta solo interessi pittoreschi o antropologici ma possiede un cospicuo numero di opere da tutelare e divulgare tramite una rigorosa ricerca storica e artistica. Molti studiosi sanno quanto sia difficoltoso viaggiare per i paesi della nostra regione e doversi arrabattare per trovare chi possa aprire chiese perennemente serrate, spesso ricche di capolavori misconosciuti, o districarsi lungo una rete di musei chiusi o quantomeno non regolarmente fruibili. Come si possa puntare, in queste condizioni, sul turismo culturale – che non è solo uno slogan per politicanti ma una delle risorse che questa terra potrebbe pienamente e concretamente sfruttare – è cosa misteriosa! L’intento non è, dunque, quello di fare una rivista infarcita di intellettualismi o piena di ragionamenti asfittici, frutto di una conventicola di monomaniaci dell’arte o con fini di lucro (Dio guardi! Chi fa questo mestiere per mero studio sa che nessuno si è mai arricchito, anzi...) oppure uno specchio di Narciso per chi voglia scrivere con lo scopo di partecipare ad una delle tante premiopoli istituite per appuntarsi medaglie di cartone sul petto. E non è, altresì, una conventio ad excludendum per altri studiosi, ma vuole proporsi come una palestra per i giovani specialisti che magari provengono dalla nostra Università – privi di sbocchi occupazionali e di supporti che gli consentano di percorrere la strada della ricerca – o un modo per far sì che archeologi, architetti o storici dell’arte “di lungo corso” abbiano la possibilità di confrontarsi e di mettersi in discussione. I saggi pubblicati, infatti, non vogliono lanciare proclami e non propongono soluzioni a problemi artistici con verità rivelate, ma possono essere spunti per riflessioni più ampie o punti di partenza per studi futuri, al di là di facili schematismi o di uno sterile gusto dialettico. Il fine ultimo è la sopravvivenza di questa pubblicazione: esorto quindi chi mi legge a proporla e a diffonderla con lo scopo di far conoscere il patrimonio storico-artistico della nostra regione con rigore metodologico e non solo con meri scopi divulgativi.

Editoriale Anno II, 3-4, 2009, di Monica De Marco


Anno II, nn. 3-4, gennaio-dicembre 2009 

Editoriale 

di Monica De Marco

L’OTIUM, LA RICERCA STORICA E I NUOVI MEDIA


Pur senza compiere un vero e proprio sondaggio, semplicemente affacciandosi di tanto in tanto nelle sale studio degli archivi calabresi, si può affermare che la ricerca d’archivio nella nostra regione, e forse non solo, è sempre di più appannaggio dei pensionati, frequentatori assidui, che si vedono talora affiancati da qualche sparuto studente alle prese con la tesi di laurea. È un fenomeno per certi versi ovvio, visto che la ricerca in Italia, meno che mai quella storica, non solo non è ripagata ma non è avvertita come risorsa né dalle istituzioni né dalle comunità. Conversando con questi ricercatori per vocazione, a volte tardiva - ma questo conta poco - si scopre che ci si ritrova davanti a persone provenienti dalle più disparate categorie professionali, dagli insegnanti agli avvocati, dai medici agli operai. Bisogna ammettere che la ricerca scientifica in diversi casi deve proprio a questi studiosi per diletto , mossi esclusivamente dal desiderio di recuperare la propria storia, scoperte ed indicazioni fondamentali per il progresso degli studi, pur essendo di rado disposta ad ammetterlo. Vi sono, inoltre, nel fenomeno altri risvolti su cui occorrerebbe riflettere. Innanzitutto, si tratta di un procedere che implicitamente è governato da un proprio metodo, basato sulla centralità delle persone rispetto all’oggetto della ricerca. Questa tendenza ad assumere il dato umano quale punto di partenza dell’indagine determina una forte integrazione delle testimonianze orali rispetto alle fonti scritte e a quelle archivistiche, anche se a volte la mancanza di un’idonea metodologia impedisce di imbastire un discorso storico attendibile. In un certo senso è un ulteriore esito di quel fenomeno di democratizzazione della cultura che ha senz’altro subito una forte accelerazione con la comparsa del mezzo informatico. Internet è il veicolo privilegiato di una sorta di cultura parallela, dove, come in un crogiuolo, confluiscono informazioni di natura diversa e di cui è sempre molto difficile verificare l’attendibilità. Tuttavia, il fenomeno sottende un dato di fatto inconfutabile: la forte domanda di conoscenza che investe principalmente il campo storico, ma anche quello storico-artistico, in particolare se connesso all’esplorazione delle risorse cultural i- e di riflesso turistiche - del territorio. Nel contempo si registra un difficoltà di dialogo con i detentori del sapere scientifico, probabilmente a causa di quell’aura di intoccabilità, di aristocratico distacco che sovente scoraggia qualsiasi approccio. Ci si perdoni il tono - al consueto tra l’ironico e il sarcastico - ma resta il fatto che oggi anche gli specialisti, pur rifiutandosi generalmente di ritenere un sito web citabile in una bibliografia che si rispetti, non possono fare a meno di ricercare informazioni tramite i canali della rete. In realtà, le fonti telematiche andrebbero considerate alla stregua di tutte le altre e assoggettate agli stessi criteri metodologici. In sostanza, ciò che fa la differenza è, per usare un termine in voga, è la tracciabilità del percorso di ricerca che sta a monte della singola informazione, dando per scontata, anche nei casi in cui vi fossero chiari riferimenti bibliografici, la necessità di procedere ad una diretta verifica delle fonti citate. Diversamente, qualora non ve ne fossero i presupposti, l’informazione reperita va intesa semplicemente quale input per impostare una sorta di percorso di ricerca a posteriori che potrebbe rivelarsi poco agevole. Del resto, in un mercato in cui prendono sempre più piede le edizioni elettroniche, gli e-book, a fianco o in alternativa al cartaceo, non avrebbe senso discriminare quelle pubblicazioni, anche non banali – basti pensare alle tesi di dottorato- che veicolano solo, o principalmente, attraverso la rete. Crediamo dunque, che, soprattutto quando si attingono da questo genere di fonti dati diversamente inediti, bisognerebbe avere l’onesta di dichiarare apertamente la sorgente dell’informazione. Altro discorso è l’uso del web come lo intendono, purtroppo, tanti studenti, anche universitari, che finiscono per costruire intere tesi attraverso un collage quasi meccanico di copia/incolla, dimostrando di non aver recepito alcun indirizzo metodologico.

Editoriale Anno I, 2, 2008, di Monica De Marco



Anno I, n. 2, luglio-dicembre 2008

Editoriale


di Monica De Marco

SUI BINARI DELLA RICERCA: MOTIVAZIONI IDEALI E ISTANZE METODOLOGICHE


Che senso può avere, oggi, scegliere come oggetto dell’indagine storica un patrimonio artistico, tutto sommato alquanto modesto, come quello calabrese? E’ l’interrogativo che prima o poi giunge a porsi chiunque si dedichi a tale campo di ricerca. Sicuramente si tratta di studi che generalmente non solo non aiutano molto a fare carriera negli ambiti accademici, ma per giunta rischiano di porre in cattiva luce chi li pratica attirandogli la bolla del provincialismo. A questo bisogna aggiungere il fatto che i risultati scientifici conseguiti non destano sovente l’interesse sperato. Di fatto, allo sguardo esterno di uno studioso avvezzo a manipolare argomenti decisamente più aulici, il patrimonio calabrese può apparire desolante e, anche se talora con sguardo compassionevole siano disposti ad ammettere che pure non manchino le testimonianze di un certo interesse, mai si adopererebbero ‘’seriamente’’ a perderci sopra del tempo per uno studio globale come si farebbe se ci si trovasse a Roma o a Firenze. Eppure, sebbene, lo ammettiamo, alquanto meschino, e anche peggio se si tengono in conto fattori come il contesto e il degrado, il patrimonio ‘’locale’’ deve esse studiato e non si può farlo che attraverso gli strumenti metodologici approntati dalla ‘’grande’’ storiografia e con la medesima serietà. Del resto, la comprensione dei fenomeni locali, per quanto modesti, non può prescindere dai nessi genetici con i ben più pregnanti sviluppo della ‘’grande’’ storia. Non intendiamo affermare che per studiare il patrimonio regionale occorra essere necessariamente calabresi, nel qual caso verremmo immediatamente smentiti da illustri esempi come Paolo Orsi, ma senz’altro è difficile farlo se non si è spinti da profonde motivazioni ideali. Ci piace qui riportare quanto scritto da Luigi Accattatis a proposito dell’amico Vito Capialbi, che fu tra i pionieri in questo campo, pur con tutti i limiti che lo confinarono nell’ambiente dell’erudizione ottocentesca: «Soleva dire che la storia di tale piccolo comunello della Calabria era tale impresa, che a volerla condurre bene a termine spaventava i più arditi». E ancor prima: «Aveva compreso l’importanza delle piccole cose, o per meglio dire era persuaso che in fatto di ricerche storiche piccole cose non si hanno». Sono qui tracciate le coordinate fondamentali che orientano gli studi ‘’locali’’: da un lato il percorso accidentato di una ricerca spesso costretta ad avanzare con scarsi appigli documentari, dall’altro la consapevolezza che la tendenza a misurare il valore dello studio sull’importanza che si attribuisce nell’ottica comune all’oggetto dello stesso ha tutti i limiti del pregiudizio. Pregiudizio che è alla base di quella sorta di complesso di inferiorità latente che ostacola la capacità dei calabresi di riappropriarsi della propria storia. Come ebbe a scrivere Maria Pia Di Dario, in relazione alla responsabilità degli organi preposti ai Beni Culturali rispetto alla stato di abbandono in cui versano le testimonianze artistiche e storiche specie nel Sud, «le motivazioni profonde anche degli orientamenti burocratici ci sono da imputare ai preconcetti della storiografia nei riguardi della cultura artistica delle regioni meridionali che contribuiscono a condizionare anche le provvidenze pubbliche di tutela e di conservazione». In tale situazione l’unica via percorribile per una rivalutazione degli aspetti della cultura meridionale è quella della ricerca scientifica che partendo da un attento scrutinio delle opere e dei documenti le ponga nei loro giusti contesti storici e culturali contribuendo alla ricostruzione della storia culturale della regione’’. Da qui la responsabilità dello storico e tulle le complesse implicazioni culturali, sociali, persino economiche, che possono scaturire da un ‘’prodotto’’ apparentemente di nicchia, come quello della ricerca. Siamo giunti al secondo numero e, anche in questo caso, non possiamo fare a meno di ringraziare quanti hanno concorso alle spese di stampa: in primo luogo l’Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, ma anche i soci e sostenitori che hanno creduto e continuano a credere nell’iniziativa. Un ringraziamento particolare a Nino Aiello per il generoso contributo e a Fabio De Chirico, Soprintendente BSAE della Calabria, per la sua cortese disponibilità.

Editoriale Anno I, 1, 2008, di Mario Panarello


Anno I, 1, gennaio-giugno 2008

Editoriale 

di Mario Panarello

CENTRO STUDI ESPERIDE: LA CULTURA COME PUNTO DI FORZA
                                                            
Nato grazie agli sforzi congiunti di un gruppo di studiosi con alle spalle una consolidata esperienza di ricerca, spinta sino a investire l'intero territorio regionale, il Centro Studi Esperide onlus intende promuovere lo studio, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale della Calabria, per lungo tempo oggetto di scarsa considerazione a livello non solo scientifico. Obiettivo fondamentale del centro è creare un punto di riferimento e di sostegno per tutti coloro che spendono le proprie energie nello studio, tentando con fatica di delineare l’identità artistica e architettonica di una regione funestata da eventi tellurici e altre calamità naturali, ma forse soprattutto dall’indifferenza delle autorità centrali e locali, fattori che ne hanno decimato il patrimonio culturale e disperso fonti e documenti. Il centro, dunque, non si rivolge soltanto ai ‘’tecnici’’, ma anche ai cultori e agli appassionati di storia locale, in alcuni casi facenti capo ad altre realtà associative analoghe, i quali si sono talora dimostrati più operativi degli enti istituzionalmente preposti alla ricerca, sebbene incapaci, per mancanza degli strumenti metodologici adeguati, di superare il ristretto ambito localistico. Nella speranza che la comune passione per la ricerca possa tramutarsi in fattore di coesione e consentire di superare le divisioni e le insulse forme di competizione che a vari livelli finiscono per rappresentare ostacoli insormontabili per una proficua collaborazione tra gli studiosi. Vorremmo, insomma, che , almeno nell’ambito degli studi, finisse l’epoca della Calabria ‘’a compartimenti stagni’’,, per utilizzare un’espressione abusata ma quanto mai efficace, se pensiamo alla chiusura e indifferenza che caratterizza l’atteggiamento di tanti operatori culturali nei confronti di iniziative intraprese da altri interlocutori o in altre realtà geografiche. Questa sorta di conflitto latente, che spesso si può cogliere anche tra le istituzioni, rappresenta senz’altro un fattore di debolezza per il progresso degli studi. Nella convinzione che la collaborazione tra gli specialisti e cultori di storia locale possa aprire nuovi orizzonti alla ricerca, offrendo la possibilità di una conoscenza e di una penetrazione capillare del territorio, il centro intende coinvolgere nelle proprie iniziative sia le giovani leve, studenti e neolaureati, sia gli studiosi più esperti, coordinati ed orientati da un’ equipe di tecnici, ciascuno per la propria specifica competenza, in un quadro fortemente multidisciplinare, perché siamo convinti che una corretta valorizzazione delle risorse culturali di una regione può scaturire solo dal coinvolgimento di professionalità operanti nei vari settori chiamati in causa: dagli storici ai progettisti, dai geologi ai restauratori, agli antropologi ecc.
Il presente periodico vuole essere il punto di arrivo del percorso che abbiamo sin qui delineato, lo specchio dei risultati dei programmi di ricerca condotti e coordinati dal Centro Studi Esperide, ma soprattutto uno strumento messo a disposizione di quanti, anche oltre i confini della Calabria, portino avanti studi e ricerche relative alla cultura artistica espressa dalla regione o in essa innestata tramite i canali dell’importanza di opere e della circolazione di maestranze. Proprio perché precipuamente indirizzati agli operatori del settore, i contributi dovranno presentare un taglio scientifico rigoroso, unito però a chiarezza espositiva e ricco corredo iconografico, onde agevolare la comprensione delle problematiche anche da parete del pubblico di curiosi e appassionati che intendano approfondire la conoscenza del nostro patrimonio culturale. Ciascun numero, a cadenza semestrale, sarà articolato in tre sezioni: la prima dedicata all’approfondimento di tematiche di storia delle arti figurative e dell’architettura, la seconda alle indagini documentarie, la terza a problematiche di tutela e restauro, con particolare riguardo ad esperienze ed interventi già porti a compimento, lasciando da parte gli studi preliminari e di fattibilità che spesso rischiano di rimanere sulla carta. Chiudiamo con un sentito ringraziamento alle Amministrazioni Provinciali di Catanzaro e di Reggio Calabria che, aderendo sollecitamente all’iniziativa, hanno reso possibile la stampa di questo primo numero.

domenica 12 aprile 2020

Buona Pasqua!



Il Direttore e l'intero Gruppo editoriale di Esperide rivolge a tutti i lettori l'augurio di una Buona Pasqua!

sabato 11 aprile 2020

Esperide: una rivista scientifica per valorizzare i beni culturali. Intervista al direttore Mario Panarello


di Enea Rotella 

Le Esperidi secondo la mitologia greca erano custodi del giardino dei pomi d'oro. Nell'undicesima fatica Eracle aiutò Atlante a reggere il cielo a patto che gli portasse dei frutti provenienti dal giardino dei pomi d'oro. Così accadde. Atlante avendo assaporato la libertà per non dover più reggere il cielo, decise che non lo avrebbe più sorretto. Eracle utilizzando l'astuzia gli rispose che le punte delle montagne gli pungevano le spalle e chiese aiuto ad Atlante per sistemare meglio il carico. Il titano ingenuamente accettò, posò i pomi d'oro sul suolo e resse il cielo per qualche attimo. Eracle libero dal fardello, prese le mele e scappò. Da questa leggenda si ispira l'intero operato della rivista di beni culturali calabresi Esperide. Basterebbe sfogliare ogni singolo volume, pagina dopo pagina per percepire la qualità dell'operato, tant'è che è stata inserita nell'elenco delle riviste scientifiche dell'Anvur, ente pubblico supervisionato dal Miur che valuta la qualità delle ricerche. Rivista diretta dallo storico d'Arte Mario Panarello con vicedirettore lo storico d'Arte Domenico Pisani che insieme ai loro autorevoli collaboratori, da anni cercano di cogliere i pomi d'oro che questa terra ci ha lasciato. 



- Direttore Mario Panarello, può tracciare brevemente una linea guida sulla sua persona e la rivista Esperide?

Sono architetto laureato al Politecnico di Milano e successivamente ho conseguito un dottorato in Beni Culturali a Reggio Calabria. Nel 2006 mi sono laureato una seconda volta in Lettere Moderne a Roma. Dal 2007 ho insegnato a contratto all'Unical di Cosenza per poi conseguire l'idoneità di professore associato. Oggi insegno a contratto all'università di Reggio Calabria. La rivista è nata nel 2007 per uscire con il primo numero l'anno seguente. In Calabria mancava una rivista scientifica sui beni culturali. Esperide vuole puntare l'attenzione sul patrimonio artistico calabrese in connessione alle dinamiche più complesse legate alla circolazione delle arti e degli artisti nel contesto meridionale. È una sfida in una regione con un patrimonio culturale azzerato dal punto di vista identitario, per tutta una serie di ovvi motivi. Uno dei nostri obiettivi è riaccendere i riflettori con una rivista scientifica che possa diventare perno in Calabria di qualcosa. Questa regione fa fatica a diventare perno, centro di qualcosa, perché dobbiamo sempre rivolgerci altrove. Esperide con le sue duecentocinquanta pagine per volume, esce semestralmente con grandi sforzi e punta ad essere un riferimento per gli studi meridionali.


- L'ultimo numero uscito di cosa tratta?

Raccoglie diversi contributi sulla scultura del '500, sulla pittura dei primi del '600 così come sulla scultura lignea napoletana, dal '500 in poi. L'ultimo numero fa luce su opere nuove, su artefici sconosciuti mai prima studiati e che oggi sono noti attraverso una prima ricognizione di raccolta di opere. Ci sono diversi articoli di archeologia, uno di questi racconta degli scavi eseguiti dove oggi sorge la Cittadella Regionale. Un numero ricco e interessante così come il prossimo che sarà in uscita a gennaio 2019.


- In merito ai siti ed alle varie opere d'arte in Calabria, qual è il livello di fruibilità da parte dei cittadini?

In Calabria si registra un'oggettiva difficoltà, eccetto alcune luoghi conosciuti ed acclarati. Attorno al patrimonio artistico c'è un vuoto, un'indifferenza. Se non si costruisce una consapevolezza collettiva non si può pensare di dare rilevanza a questi siti. Non sono le opere che ci dichiarano il loro valore, ma siamo noi che dobbiamo conferirgliela attraverso l'analisi storica e critica. 


- Tre luoghi o opere che ogni calabrese dovrebbe conoscere e vedere.

Per quanto riguarda la parte moderna, la chiesa di San Domenico a Taverna con la pinacoteca pretiana. Così come anche Cosenza che è uno scrigno prezioso con le sue chiese. A Terranova di Sibari vi è un teatro di fine Seicento che è un gioiello. Se lo avessero avuto altre realtà nazionali lo avrebbero valorizzato maggiormente. Un luogo che neanche i cittadini conoscono e che ospitò il re Carlo di Borbone, in passaggio durante uno dei suoi viaggi. Quando si fermò in questo teatro, in suo onore venne data una rappresentazione teatrale che conteneva ben cinque scenografie di Giuseppe Cappelli, uno degli allievi più importanti della famiglia Galli di Bibbiena. E ho detto tutto. Oggi esiste solo la facciata in completo abbandono.


- Quale potrebbe essere una soluzione affinché anche il resto del Paese possa venire a conoscenza di questo enorme patrimonio artistico?

Un obiettivo collettivo da parte delle amministrazioni, università, studiosi e associazioni. C'è una scollatura profonda tra questi reparti. Ci dovrebbero essere obiettivi comuni così come mostre importanti che per noi risulterebbero fondamentali in un territorio così depresso. Sempre che venga organizzata in un certo modo. Ci sono periodi storici sconosciuti ai più, non valorizzati come ad esempio la cultura del Rinascimento calabrese e i vari personaggi illuminati e artisti importanti che hanno operato in questo territorio. Tutto questo si fa a fatica studiare e le ricerche sono difficili. Non esiste ad oggi un obiettivo organico.


- La sensazione è che in Calabria ci sia ancora un tesoro nascosto.

A volte, nel momento in cui sviluppo lo studio, vengono fuori una serie di aspetti così importanti che io stesso mi meraviglio. Prendiamo ad esempio villa Caristo a Stignano (RC) che oggi viene anche utilizzata per ricevimenti e matrimoni, è un gioiello, un edificio con una storia strepitosa che va al di là della cultura italiana toccando quella europea.


- Lei ha accennato a ricevimenti e matrimoni, gli stessi che vengono celebrati anche in altre realtà artistiche nazionali importanti come a d esempio la Reggia di Caserta. Lei trova sensato che questi spazi storici vengano utilizzati in questo modo?

Potrebbe essere un modo diverso per portare le persone in questi luoghi. Bisogna capire se sono invasivi o rispettano il bene.


Tratto dall'articolo di Enea Rotella pubblicato il 14 Novembre 2018 sul sito https://www.calabriaonweb.it

giovedì 9 aprile 2020

Esperide a. X, nn° 19 - 20, 2017



In corso di stampa il volume della rivista numero 19-20, anno X.

Editoriale
di Mario Panarello

Con questo numero la rivista compie dieci anni di vita trascorsi a sostenere un’iniziativa fortemente voluta per la pubblicazione di contributi scientifici. All’inizio di questa avventura l’idea era nata essenzialmente dal fatto che mancasse una sede scientifica dedicata ai beni culturali, nella quale riversare le ricerche condotte con un certo rigore sui territori calabresi; iniziativa che si è rivelata ancora oggi di estrema utilità per la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio e che ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’ANVUR bell’elenco delle riviste scientifiche nazionali. Un patrimonio che rispetto a quello di tante altre regioni italiane ha sofferto nel corso del tempo incessanti vicissitudini; in molti casi perduto, frammentario, scomparso, ignorato, oppure ancora peggio svuotato o banalizzato dal suo contenuto, per giungere ad essere strumentalizzato, usato e poi opportunamente accantonato, spesso sfruttato come gloria personale e non come valore di una collettività, per la sua importanza storica, determinante per l’identità dei luoghi. Rispetto a qualche decennio fa, l’incremento degli studi e delle ricerche ha contribuito in modo decisivo a scoprire e a porre in una nuova luce testimonianze artistiche prima completamente ignorate, concorrendo spesso a restituire una storia territoriale di ben altro spessore rispetto agli ambiti alla quale è da molti relegata. Certamente la ricerca deve ancora avanzare, e siamo sempre più convinti che non sia solo una questione di metodo, ma di conoscenza profonda dei fenomeni che non possono essere compresi attraverso poche “battute” di interesse. Inoltre, sempre più ci si rende conto che taluni processi artistici, taluni fenomeni della committenza, se analizzati a fondo e studiati contestualmente non solo a quanto esiste, ma a quanto esisteva, non possono più essere relegati nei contesti della microstoria, ma acquistano una tale importanza che va oltre i limiti localistici, rapportandosi ad esperienze e a fenomeni di più ampio raggio, determinanti talvolta per spiegare alcuni aspetti della macrostoria; così non potremmo chiarire gli sviluppi ben oltre i confini maggiormente riconosciuti del Rinascimento fiorentino senza contemplare l’attività di Antonello Gagini o quelli del Rinascimento romano senza includere la breve parentesi calabrese di Cesare Quaranta, solo per rimanere nel campo della scultura. Ed ancora, poco oltre un secolo dopo l’attività di questi artefici, l’esperienza dei cantieri artistici del monastero di Serra San Bruno e del santuario di Soriano Calabro, ad esempio, attesta, mediante linee di sviluppo diverse, l’affermazione delle barocco sia napoletano che romano, attraverso la realizzazione di opere che pur essendo importate sono radicate nella cultura e nella spiritualità del tempo e dei luoghi, tanto da interagire con le grandi sperimentazioni delle capitali. Ma intanto nel campo degli studi emergono altre questioni legate alla condizione di subalternità della Calabria, non soltanto sul piano storico, ma anche su quello storiografico, infatti spesso ci si imbatte ancora, nonostante i tanti propositi giunti anche da autorevoli voci, in un’idea distorta che gli ambiti provinciali debbano essere relegati ad una dimensione sempre o comunque subordinata ai grandi centri di produzione artistica, ciò potrebbe essere anche accettabile se consideriamo il ruolo egemone nella formazione e nella produzione dell’arte di taluni centri, ma spesso l’attenzione si è maggiormente concentrata sui rapporti tra centro e periferia, trascurando gli sviluppi autoctoni derivati dalle elaborazioni delle grandi espressioni. Inoltre ciò ha portando ad una maggiore marginalizzazione dei fenomeni artistici e delle stesse personalità attive nelle provincie, le quali sovente erano dotate di un carattere autonomo non privo di originalità; un caso emblematico è possibile rilevarlo nella successione di architetture che ruotano attorno alle committenze dei Lamberti nel territorio di Stilo, che trovano l’apice in una manifestazione quasi unica nella regione come villa Caristo, oppure nella raffinata attività dell’architetto Biagio Scaramuzzino che ha condotto l’architettura settecentesca calabrese a livelli qualitativamente alti, attirando talvolta anche l’attenzione di studiosi autorevoli, ma è possibile considerare anche altri casi come l’attività di alcuni pittori e decoratori del Settecento, che seppure altalenante, ha visto momenti di originalità creativa nel novero di un linguaggio rocaille che nel contesto territoriale calabrese ha conosciuto sviluppi ed esiti interessanti; menzioniamo in tal senso le sperimentazioni linguistiche ed espressive di Francesco Saverio Mergolo o di Francesco Colelli. È chiaro che per fare ciò è necessario indagare i fenomeni artistici e le manifestazioni nelle loro totalità, per poi cogliere gli sviluppi e le produzioni migliori. Crediamo quindi che tale processo critico vada compiuto dall’interno, pur mostrandosi bene ancorati ad ambiti più vasti che sono i contesti culturali egemoni del Mediterraneo. Comunque sia, il fenomeno più deprecabile è quello del pregiudizio che tentiamo di superare attraverso una ricerca attenta e scrupolosa, la quale propone ma non si impone, né con superiorità né con prepotenza, ma spesso è ignorata più volontariamente che involontariamente. Si profila infatti un problema duplice, per così dire, il primo messo a fuoco decenni fa da Giovanni Previtali con il concetto di “questione meridionale”, inteso come pregiudizio di studiosi estranei alle complesse dinamiche della cultura artistica del sud Italia, il secondo insito nell’idea distorta che esista un sud del sud, nella quale si annidano atteggiamenti diffidenti, insignificanti contrapposizioni, vuote egemonie, negati confronti, vero male di una realtà oramai cristallizzata per fortuna appurabile da studiosi imparziali che un giorno riscontreranno quanto siano ignorati taluni studi; studi che nascono non dall’improvvisazione, ma da ricerche attente, da pluriennali riflessioni, dall’analisi reiterata dei manufatti e dei fenomeni artistici. Studi che certamente possono anche sfuggire nel multiforme universo della ricerca, ma non possono essere volutamente ignorati, certamente non a discapito di chi li fa, ma a sfavore di chi li ignora.

Abstract



• Marianna Sangiovanni, Tracce di architettura rinascimentale in Calabria. Frammenti di un portale nella chiesa del Santissimo Salvatore a Orsomarso.
 L’analisi dei frammenti del portale della chiesa del Santissimo Salvatore di Orsomarso, consistenti in alcuni conci lapidei, si è basata sul rilievo e lo studio della morfologia decorativa di tali elementi erratici, accantonati in un angolo della chiesa, e sull’analisi del significativo piedritto attualmente posto sul fronte tergale dell’edificio ecclesiastico, brani databili ai primi del Cinquecento sulla scorta di opportuni confronti con esempi simili. In questo modo, malgrado i numerosi elementi mancanti, è stato possibile proporre una restituzione grafica dell’originario sviluppo del portale, il cui assetto ipotetico trova conferma in analoghe espressioni architettoniche individuate in area meridionale risalenti ai secoli XV e XVI, annoverate dalla storiografia fra le manifestazioni di matrice catalana. A supporto dell’analisi condotta sono state considerate tanto le fonti a disposizione quanto alcune carte dell’archivio parrocchiale della stessa chiesa, nonché importanti fotografie d’epoca. L’originario portale doveva fare parte di un edificio ecclesiastico più antico rispetto all’odierno fabbricato, il quale sembra essere invece il risultato della stratificazione di successivi interventi di riqualificazione fra cui quelli ottocenteschi, resisi necessari probabilmente a seguito di un terremoto. Contestualmente al portale sono state considerate pure le altre testimonianze coeve quali il campanile, il fonte battesimale e l’acquasantiera, appartenenti al più antico edificio di culto.

Traces of Renaissance architecture in Calabria. Fragments of a portal in the church of the Santissimo Salvatore in Orsomarso 
The analysis of the fragments of the portal of the church of the Santissimo Salvatore di Orsomarso, consisting of some stone slabs, was based on the relief and the study of the decorative morphology of these erratic elements, set aside in a corner of the church, and on the analysis of the significant piedritto (the impost block) currently placed on the front of the ecclesiastical building, pieces dating back to the early sixteenth century on the basis of appropriate comparisons with similar examples. In this way, despite of the numerous missing elements, it was possible to propose a graphic restitution of the original development of the portal, whose hypothetical structure is confirmed in similar architectural expressions identified in the southern area dating back to the fifteenth and sixteenth centuries, counted by historiography among the manifestations of Catalan matrix. In support of the carried out analysis were considered, both the available sources and some parchment archives of the same church as well as important period photographs. The original portal had to be part of an older ecclesiastical building respect to today’s building, which seems to be the result of the stratification of successive redevelopment interventions including those one carried out in the nineteenth century, which was probably necessary following an earthquake. At the same time, the portal also includes other coeval testimonies such as the bell tower, the baptismal font and the holy water font, belonging to the oldest religious building.



• Stefano De Mieri, Una ‘Crocifissione’ di Pietro Negroni nel Sacro Speco di Subiaco (e altri spunti).
Il breve saggio è incentrato su una tela di ridotte dimensioni, certamente ascrivibile al calabrese  Pietro Negroni, custodita nell’appartamento abbaziale del Sacro Speco di Subiaco. L’interesse dell’opera, di discreta qualità e risalente alla fase matura dell’artista, intorno al 1550, o poco dopo, deriva proprio dalla collocazione in area laziale. Ciò sembrerebbe irrobustire l’ipotesi di una sua realizzazione durante il più volte ipotizzato soggiorno romano dell’artista. Tuttavia, trattandosi di un’opera di devozione privata, non è escluso che possa essere stata dipinta in area napoletana su richiesta dell’abate di Subiaco Giovanni Battista da Napoli, probabilmente il religioso accompagnato da san Giovanni effigiato ai piedi della croce. Nello scritto inoltre si accenna anche ad altri aspetti della tarda produzione di Negroni.

A ‘Crucifixion’ by Pietro Negroni in the Sacro Speco of Subiaco (and other ideas). 

This short essay is focused on a small canvas, certainly attributed to the Calabrian Pietro Negroni, and located in the apartments of the Abbey of Sacro Speco di Subiaco. The interest of the work, of good quality and dating back to the mature phase of the artist, around 1550, or soon after, derives from its location in the Lazio area. This would seem to strengthen the hypothesis of a realization during the often hypothesized Roman stay of the artist. However, since it is a work of private devotion, it is not excluded that it may have been painted in the Neapolitan area at the request of the Abbot of Subiaco Giovanni Battista da Napoli, probably the religious accompanied by Saint John and depicted at the foot of the cross. The essay also mentions other aspects of the late production of Pietro Negroni.



• Dario Puntieri, Un viaggio alla riscoperta delle mitiche origini della Magna Grecia: Leandro Alberti 
Il lungo viaggio nella penisola italiana intrapreso dal domenicano bolognese Leandro Alberti ebbe inizio nel 1525 da Roma, con una prima destinazione nel Meridione e nella Sicilia, per risalire successivamente verso le regioni centro-settentrionali. Edito nel 1550 con il titolo di Descrizione di tutta Italia, Alberti diede avvio ad un’opera monumentale, confortato dai tanti riferimenti bibliografici che poteva consultare nella biblioteca conventuale di Bologna e negli archivi dei numerosi conventi che visiterà durante la sua peregrinazione. Numerose sono state le indagini intorno alla Descrizione di tutta Italia, munifica di continui spunti di riflessione, ma è indubbio che Alberti sia stato mosso principalmente dalla ricerca delle origini di una identità italiana, sentendo il bisogno di richiamare le diverse regioni ad un sentire comune in un momento in cui si stava attuando una complessa opera di riforma della Chiesa. Da questa fonte inesauribile ci è parso utile attingere particolarmente al racconto di viaggio nell’Italia meridionale dove, con maggiore enfasi, Leandro Alberti mette in mostra la sua erudizione, le conoscenze storiche e antiquarie soprattutto quando indugia nella descrizione delle origini mitiche delle città della Magna Grecia delle quali può ammirare le vestigia che gli appaiono tracce tangibili di un passato memorabile, di una storia che ha reso grande l’Italia. Ne risulta un'immagine completamente idealizzata, rafforzata anche dagli aspetti naturalistici di grande suggestione evocata dai «belli, e fruttiferi colli, e di vaghe valli» o dai giardini «pieni di Citroni, Aranci, e Limoni». 

A journey to the rediscovery of the mythical origins of Magna Graecia: Leandro Alberti.
The long journey in the Italian peninsula undertaken by the Bolognese dominican Leandro Alberti began in 1525 from Rome, with a first destination in the South and in Sicily, to go then back to the central-northern regions. Published in 1550 with the title of Description of all Italy. Alberti started a monumental work, supported by the many bibliographic references that he could consult in the conventual library of Bologna and in the archives of the numerous convents he visited during his pilgrimage. There have been numerous investigations around the Description of all Italy, providing continuous food for thought, but it is undoubted that Alberti has been driven mainly by the search for the origins of an Italian identity, feeling the need to recall the different Italian regions to a common feeling at a time when a complex church reform was taking place. From this inexhaustible source it seemed useful to draw particularly on the travel story of southern Italy where, with greater emphasis, it shows off its erudition, historical and antiquarian knowledge especially when it lingers in the description of the mythical origins of the cities of Magna Graecia which can admire the vestiges that appear to Alberti tangible traces of a memorable past, of a history that has made Italy great. The result is a completely idealized image, reinforced also by the naturalistic aspects of great suggestion evoked by “beautiful, and fruitful hills, and of vague valleys” or by the gardens “full of Citroni, Aranci, and Limoni”.



• Roberto Carmine Leardi, Un’aggiunta ad Andrea Maffei in Calabria: la pala Berlingieri della cattedrale di Crotone. 
Il contributo restituisce al nascente corpus del napoletano Andrea Maffei (1643 circa-1711 circa), alias Del Po, l’Adorazione dei magi della cattedrale di Crotone, pala d’altare della cappella dell’Epifania di proprietà della famiglia Berlingieri, marchesi di Valle Perrotta e duchi di Casalnovo. L’attribuzione permette di aggiungere un altro pezzo al dinamico fenomeno dell’approvvigionamento di manufatti artistici dalla capitale vicereale, responsabile dell’accrescimento del patrimonio della Calabria.  

An addition to Andrea Maffei in Calabria: the Berlingieri altarpiece of the cathedral of Crotone.
This contribution returns to the corpus of the Neapolitan Andrea Maffei  (approx. 1643-1711), the Adoration of the Magi of the Cathedral of Crotone, altarpiece of the Epiphany Chapel owned by the Berlingieri family, marquises of Valle Perrotta and dukes of Casalnovo. This attribution allows us to add another piece to the dynamic phenomenon of acquisition of artistic artifacts from the viceroy capital, which helped in a considerable way the growth of the cultural heritage of Calabria.



• Adrián Contreras-Guerrero, Francesco De Nicolo, Dal Mediterraneo alla Colombia: casi di circolazione di scultura tra i viceregni spagnoli.
Alcune pregevoli opere d’arte presenti in Calabria offrono il trampolino di lancio per riflettere sulla diffusione di iconografie, stili, mode, gusti all’interno del grande dominio della Corona di Spagna e, nel caso specifico, sull’approdo di manufatti artistici “italiani” nel lontano Viceregno di Nuova Granada situato nella parte settentrionale del continente sudamericano e comprendente grossomodo gli attuali Ecuador, Colombia e Venezuela. L’indagine sul campo ha portato al rinvenimento di Crocifissi eburnei che ripropongono il modello algardiano del Crocifisso di Mileto; del tutto inedita è la scoperta in Colombia di opere scultoree in legno attribuibili a maestri napoletani attivi tra XVIII e XIX secolo, ampiamente documentati anche in Calabria, tra i quali Giuseppe Picano, Nicola Ingaldi e Arcangelo Testa; altre opere, soprattutto marmoree, giunsero al porto colombiano di Cartagena da Genova. Il saggio ambisce ad aprire nuovi filoni di ricerca nell’ambito della circolazione delle opere d’arte dal Mediterraneo al Nuovo Mondo.

From the Mediterranean to Colombia: some examples of circulation of sculptures among the Viceroyalties of Spain.
Some valuable works of art present in Calabria offer us the occasion to reflect on the diffusion of iconography, styles, fashions, in the great domain of the Crown of Spain and, in this specific case, on the presence of Italian artistic artefacts. in the distant Viceroyalty of New Granada located in the northern part of the South American continent and roughly including the current Ecuador, Colombia and Venezuela. The field survey led to the discovery of the Eburian Crucifixes that repropose the algardian model of the Crucifix of Mileto; the discovery in Colombia of sculptural wooden works attributed to Neapolitan masters active between the 18th and 19th centuries, widely documented also in Calabria, among which Giuseppe Picano, Nicola Ingaldi and Arcangelo Testa; other works, above all marble artefacts, came to the Colombian port of Cartagena from Genoa. The essay seeks to open new strands of research in the circulation of works of art from the Mediterranean area to the New World.



• Mario Panarello, Il viaggio nell’arte di un pittore e di un letterato nel periodo neoclassico. Emanuele Paparo e Vito Capialbi in un immaginario percorso artistico.
Il Viaggio Pittorico (Messina, 1833) costituisce una delle opere letterarie più interessanti del pittore monteleonese Emanuele Paparo (1778-1828), poiché esprime la sua sensibilità per l’arte italiana e l’attenta conoscenza delle opere del passato esaltate e illustrate attraverso il genere poetico del canto. Un viaggio che l’artista intraprende per spiegare al suo fedele amico Vito Capialbi (1790-1853), erudito calabrese fra i più raffinati del tempo, le suggestioni di insigni opere d’arte. I due intraprendono una sorta di itinerario immaginario, evocato soltanto dalle parole e probabilmente attraverso il solo supporto visivo delle incisioni care agli artisti e alla cultura neoclassica: un viaggio dunque che si spinge nel profondo dell’animo. I quaranta canti, sono in gran parte dedicati a opere romane, considerate dall’autore esemplari per la formazione del gusto e l’esaltazione del bello, un percorso che lo stesso Paparo intraprenderà per la sua produzione pittorica dove, attraverso copie di opere famose o interpretate, giungerà ad esaltare in modo del tutto personale aspetti particolari ricercati in artisti eterogenei di diverse epoche. Il saggio esplora alcuni momenti salienti del componimento poetico e punta l’attenzione su alcune opere realizzate dall’artista, molte delle quali connesse all’ideale viaggio.

The journey into the art of a painter and a writer in the neoclassical period. Emanuele Paparo and Vito Capialbi in an imaginary artistic journey.
The Pictorial Journey (Messina, 1833) is one of the most interesting literary works of the Monteleone (today Vibo Valentia) painter Emanuele Paparo (1778-1828), as he expresses his sensitivity to Italian art and the careful knowledge of the works of the past focused and illustrated through the poetic genre of the song. A journey that the artist undertakes to explain to his faithful friend Vito Capialbi (1790-1853), one of the finest Calabrian scholars. The two undertake a sort of imaginary itinerary, evoked only by words and probably through the only visual support of the engravings, dear to the artists and to the neoclassical culture, therefore a journey that goes deep into the soul. The forty songs, are largely devoted to Roman works, considered by the author to exemplify the formation
of taste and the exaltation of beauty, a path that Paparo himself will undertake for his pictorial production where, through copies or personal interpretation of famous works, he will come to exalt in a completely personal way particular aspects sought in heterogeneous artists of different eras. The essay explores some salient moments of the poetic composition and focuses on some works created by the artist, many of which are connected to the ideal journey.



• Gianni Garaguso, Per la stagione tardobarocca in Basilicata. Monsignor del Plato e le “addizioni” settecentesche alla cattedrale di Tricarico.
 La Cattedrale di Tricarico è il risultato di mille anni di interventi. Il saggio ne prende in considerazione le addizioni settecentesche operate durante il mandato episcopale del vescovo irpino Francesco Antonio del Plato (1760 - 1783).

For the late baroque age in the country of Basilicata. Monsignor del Plato and the eighteenth century "additions" at the Tricarico cathedral. 
The Cathedral of Tricarico is the result of a thousand years of interventions. The essay takes into consideration the eighteenth-century additions made during the Episcopal mandate of the Irpinian bishop Francesco Antonio del Plato (1760 - 1783).



• Bruno Vadalà, Stralci archivistici per una chiesa perduta. Santa Maria di Portosalvo a Reggio Calabria. 
Un serrata ricerca archivistica è stata mirata a ricostruire la storia e le vicende costruttive di un edificio distrutto della città di Reggio Calabria, la chiesa di Santa Maria di Portosalvo. Crollata per il sisma del 1783, la chiesa venne poi ricostruita per essere nuovamente abbattuta dall’altro terremoto del 1908. Visite pastorali e documenti diversi, estrapolati da fondi dell’Archivio di Stato, nonché qualche schematico disegno, hanno così contribuito a restituire l’identità di un edificio non più esistente legato alla confraternita dai marinai di cui oggi non rimane che il solo dipinto dell’altare maggiore opera di Brunetto Aloi, pittore accademico dell’Ottocento, originario di Monteleone.

Archival traces for a lost church. Santa Maria di Portosalvo in Reggio Calabria.
A very careful and accurate archival research has been aimed at reconstructing the history and the construction events related to a destroyed building in the city of Reggio Calabria, the church of Santa Maria di Portosalvo. Destroyed by the earthquake of 1783, the church was rebuilt and then demolished again by the earthquake of 1908. Pastoral visits and various documents, extrapolated from funds of the State Archives, as well as some schematic design, have thus helped us to restore the identity of a building no longer existing linked to the confraternita dai marinai of whom today remains only the painting of the main altar painted by Brunetto Aloi, an academic painter of the nineteenth century from Monteleone.



• Gianpaolo Leone, Mario Panarello, Alcune opere di Emanuele Paparo per la famiglia di Francia. Collezionismo, restauro e dispersione del patrimonio artistico. 
Il breve saggio riguarda due dipinti raffiguranti Venere e Adone e l’Aurora, appartenenti alla collezione e alla decorazione delle sale di Palazzo di Francia a Vibo Valentia, già attribuiti al pittore neoclassico Emanuele Paparo di Monteleone (odierna Vibo Valentia), migrati in Sicilia dopo vicissitudini ereditarie e poi passati sul mercato antiquario. Attraverso l’intervento di restauro delle due tele, a cura del laboratorio catanese di Giampaolo Leone, è stato possibile documentare le fasi del loro recupero e restituirle all’originario fascino, pur non essendo più fruibili negli ambienti originari per le quali sono state concepite.  Attraverso il recupero di alcuni dati storici e di fonti ottocentesche è stato possibile ipotizzare le circostanze per le quali almeno la grande tela dell’Aurora fu ideata in occasione del riassetto decorativo del palazzo per la visita di re Gioacchino Murat, mentre sono stati recuperati i rispettivi brani contenuti nel Viaggio pittorico, componimento poetico vergato dallo stesso pittore, che esaltano le celebri opere servite da modello: l’Aurora di Guido Reni e il gruppo scultoreo di Venere e Adone.

Some works by Emanuele Paparo for the family of France. Collecting, restoration and dispersion of the artistic heritage. 
This short essay concerns two paintings depicting Venus and Adonis and the Aurora, respectively belonging to the collection and decoration of the rooms of the Palazzo di Francia in Vibo Valentia, already attributed to the neoclassical painter Emanuele Paparo di Monteleone (today Vibo Valentia), migrated to Sicily after inherited vicissitudes and then passed on the antiquarian market. Through the restoration of the two canvases, carried out by the Giampaolo Leone’s Catania laboratory, it was possible to document the phases of their restoration and to return them to their original charm, even though they are no longer accessible in the original environments for which they were designed. Through the recovery of some historical data and nineteenth-century sources it was possible to hypothesize the circumstances for which at least the great canvas of the Aurora was conceived; on the occasion of the decorative reorganization of the palace with the visit of King Gioacchino Murat, while the respective passages contained in the Pictorial Journey, poetic composition written by the same painter, that enhance the famous works served as a model: the Aurora by Guido Reni and the sculptor group of Venus and Adonis.

Esperide a. IX, nn° 17 - 18, 2016



Disponibile il volume della rivista numero 17-18, anno IX.

Editoriale
di Domenico Pisani


Poi che il grande pittor Preti Mattia/ dal nano Cortis venne arcisfregiato 
non volle più restare in San Giovanni/ dove dipinse assai per anni ed anni.
Che ci stava a far lì quel Calabrese/ presso a la porta della sacrestia?
 A guardar quei suoi santi ad ogni mese/ crescer di grasso per l’idropesìa?
Dalla sua tomba uscì, tutto adirato;/ e nudo sì com’era è andato via... 
in barba ai preti ed alla polizia!/ Or che giova saper dov’egli sia? 
Cerchiamo il Cortis dal cervello corto/ almen per impiccarlo dopo morto.



Anche se non si insisterà mai abbastanza sui problemi legati alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale calabrese e sulle colpe in vigilando degli enti preposti alla sua salvaguardia, per evitare di stilare un cahier de doléances che rischia di diventare un motivo ricorrente e privo di effetti, è necessario porre l’accento sulla prevenzione dei rischi legati al danneggiamento o alla perdita di testimonianze del passato: scomodando il Signor de La Palisse, chi entra a contatto con oggetti d’arte deve essere deputato a farlo, senza improvvisazioni. Purtroppo così non è in molte chiese e in molti musei di questa regione, dove incultura e indifferenza verso il patrimonio materiale sussistono anche a causa dalla mancata applicazione delle leggi. Finché ci saranno deroghe nei confronti di “restauri” non autorizzati di oggetti liturgici, dipinti e sculture e non si inaspriranno le pene per i trasgressori, la distruzione del patrimonio sarà generalmente considerata un peccato veniale e verrà operata inesorabilmente. Ciò non esclude la vigilanza sui restauratori “accreditati”, non certo esenti da errori: il sopracitato nano Cortis, protagonista di una poesiola che circolava a Malta dopo la conclusione dei primi restauri ai dipinti pretiani nella cattedrale di San Giovanni, è sempre dietro l’angolo. Come prevenire i danni al patrimonio culturale? Senza cadere nel banale e nel retorico, l’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole potrebbe avere il suo ruolo se operato con rigore e con competenza. Lasciando da parte i problemi legati all’istruzione, noti a tutti, è necessario porre in evidenza che l’insegnamento di questa materia è una delle grandi questioni culturali di questo Paese, una questione valoriale e identitaria ineludibile. Esiste una evidente asimmetria tra l’interesse del pubblico che insiste agli ingressi dei principali musei italiani e quello suscitato dallo studio della storia dell’arte nelle scuole, perché la disattenzione nei confronti di questa materia è purtroppo politicamente trasversale e nessuno fino ad oggi ha avuto la necessaria lucidità per capire che la tutela e la comprensione del patrimonio partono dalla didattica. Questa materia, che ha una vocazione laboratoriale, non può essere insegnata in maniera obsoleta soltanto con l’uso dei libri di testo, ma necessita della conoscenza di siti internet, della possibilità di ingrandire i dettagli, di studi efficaci che facciano presa sull’attenzione degli allievi, incentivando l’uso delle nuove tecnologie e non reprimendolo a vantaggio di metodi ottocenteschi, da libro Cuore. Ma tant’è: in alcune scuole il numero delle lavagne d’ardesia supera quello delle moderne Lim che, quando sono presenti, vengono confinate in aule inidonee e non sempre facilmente fruibili. Finché non si comprenderà la valenza delle chiavi di lettura del patrimonio culturale si condannerà la storia dell’arte alla marginalità degli studi, creando un vulnus nel bagaglio culturale degli studenti. Se si continuerà, quasi con fastidio, a collocarla all’ultima ora di lezione, si trasmetterà agli studenti quel senso di dequalificazione che porta all’indifferenza. Eppure questa materia, anche se a volte viene dipinta come elitaria, un mistero per pochi iniziati, si può porre in un rapporto dialettico con letteratura, religione, storia e filosofia ed è certamente, al di là degli slogan, la seconda lingua degli italiani, una lingua che contribuisce alla formazione dell’identità nazionale e che permette di appropriarsi di codici interpretativi per la corretta analisi delle opere d’arte. Ecco perché dovrebbe essere appannaggio di docenti specialisti della disciplina. È solo l’educazione alla bellezza e al buon gusto che può limitare quei danni causati dall’incuria che inevitabilmente portano al degrado. I beni architettonici, ad esempio, vengono spesso considerati un inutile fardello o un ostacolo allo svecchiamento, per un malinteso senso del progresso e della modernizzazione, che preoccupa e indigna. I restauri dei palazzi storici di molti paesi calabresi appaiono fuori controllo, a causa dell’uso di colori che collidono con il buon gusto, per non parlare di vetrine da negozio in alluminio o di insegne al neon che insistono su strutture che meriterebbero ben altra considerazione. Una politica miope, indifferente a tutto ciò che non si traduce in voti e clientele, ha vilipeso i beni artistici di questa terra percependoli come “minori”, più appannaggio degli antropologi che degli storici dell’arte, e non come parte integrante di un territorio da tutelare o uno stimolo alla creatività del presente per la costruzione del futuro. Ancora però ci si nasconde dietro l’ordine di priorità: i problemi della Calabria sono tanti ma finche non si comprenderà che la tutela della cultura è destinata a concorrere all’elaborazione di un metodo utile a formare e rafforzare l’identità non ci sarà mai un completo riscatto dalle logiche che tollerano scheletri di cemento armato destinati a stuprare il paesaggio, simboli del “non finito” calabrese.


Abstract


• Pasquale Faenza, Il caso delle colonne lignee del Victoria and Albert Museum di Londra.
Ripercorrendo l’intricata vicenda critica che, da oltre più di un secolo, ruota intorno al gruppo ligneo del Victoria and Albert Museum di Londra è possibile stabilirne l’estraneità dall’abbazia di Santa Maria di Tridetti e in generale dagli ambienti religiosi italo-greci dell’Italia meridionale e della Sicilia. La recente identificazione di un frate francescano, in una delle scene che decora le colonne, pertinenti forse un ambone o una recinzione presbiteriale, consente, infatti, di collegare i manufatti ad una committenza mendicante. Da questo specifico contesto religioso potrebbe derivare il programma iconografico che anima la compagine figurativa, incentrato, a nostro avvisto, sul tema della lotta dei vizi e delle virtù, con espliciti richiami alla Visio Pauli e per mezzo di alcune citazioni alle favole di Esopo, quale metafora del contrasto tra la Superbia e l’Umiltà. Puntuali rimandi agiografici, insieme a fonti d’archivio, offrono spunti di ricerca per azzardare la provenienza delle colonne da una chiesa francescana di Salerno. Particolarmente complessa rimane la disamina dello stile dei rilievi lignei, oggetto quasi certamente di manomissioni e interventi successivi, effettuati nel corso del XIII secolo. Infatti oltre ai modelli decorativi che richiamano importanti opere connesse alla figura di Guglielmo II e al suo più stretto entourage, si sommano linguaggi artistici, tipici dei cantieri sparsi tra la Campania, la Lucania e la Puglia, in diretto contatto con il milieu internazionale della corte sveva, che lasciano supporre l’avvio dei lavori tra il terzo e il quarto decennio del Duecento. Successivamente, entro l’ultimo ventennio del secolo, potrebbe invece collegarsi l’adattamento dell’intera compagine figurativa delle colonne, in linea con la scultura plastica d’età angioina, legata al gusto espressionista di alcune importanti figure artistiche del periodo, come ad esempio Melchiorre da Montalbano.

The case of the wooden columns of the Victoria and Albert Museum in London.
Examining the critical that for over a century turn around the wooden group of the Victoria and Albert museum in London, it is now possible to establish that it is totally unrelated to the Abbey of Santa Maria di Tridetti and in a general way to the religious italo-greek ambience of southern Italy and Sicily.  A Franciscan friar having been recently identified in one of the scenes decorating the columns, belonging maybe to an ambo or a presbyteryan inclosure allows us to relate them to a religious mendicant order.  From this specific religious context could derive the iconographic  program present in the figurative structure that, we believe, is based on the fight between virtues and vices, clearly related to Vision  Pauli and through some mention of Esopo’s tales as metaphor of the contrast between humility and pride. Some hagiographic similarity, together with some archives sources, allows us to venture the possibility that the columns could come from a Franciscan church in Salerno. What is particularly difficult is examining the style of these wooden sculptures that have been probably modified in later periods during the 13th century. Actually besides the decorative models that remind us of important elements related to the character of William II and his entourage, there are artistic expressions typical of the sites in the area between Campania, Lucania and Apulia, directly connected with the international milieu of the Suewian court. This suggests the beginning of the work between the third or fourth decade of the year 200. After that, about the last twenty years of the century, the whole group, could be adapted, to the style of the plastic sculpture of the Anjovin period related to some important artist of the period such as Melchiorre di Montalbano.



• Pasquale Blefari, Bovalino e la “celebris imago” del convento di  Santa Maria di Gesù: l’Adorazione dei Magi di Joos Van Cleve.
«In templo hius cenobii sunt in ligneis tabulis in altari immagine Regum Christum Dominum in presepe adorantium elegantissimae pictae a celeberrimo Alberto Duro, seu Durerio».
 La chiesa citata nel documento (redatto nel 1591 dal vescovo Ottaviano Pasqua) era annessa al convento dei Padri Riformati di Bovalino, dedicato Santa Maria di Gesù, edificata per voto, secondo la tradizione orale e varie fonti, da alcuni mercanti genovesi. Lo studio, incentrato sulla pala d’altare attribuita nel testo addirittura ad Albrecht Dürer, ha portato, tramite ricerche condotte in vari archivi dell’Italia Meridionale, alla sua identificazione con L’Adorazione dei Magi dipinta da Joos van Cleve agli albori del XVI secolo e oggi conservata nel Museo di Capodimonte. Il saggio contiene inoltre nuove considerazioni intorno alla complessa vicenda critica e fisica del dipinto, al contesto storico in cui è nato e all’edificio che lo ha custodito per secoli.

Bovalino and the "celebris imago" of the convent of Santa Maria di Gesù: the Adoration of the Magi of Joos Van Cleve.
«In templo hius cenobii sunt in ligneis tabulis in altari immagine Regum Christum Dominum in presepe adorantium elegantissimae pictae a celeberrimo Alberto Duro, seu Durerio». The church mentioned in the document (written in 1591 by Bishop Ottaviano Pasqua) was annexed to the convent of the Reformed Fathers of Bovalino, dedicated to Santa Maria di Gesù, built by a vote, according to oral tradition and various sources, by some Genoese merchants. The study, focused on the altarpiece attributed in the text to Albrecht Dürer, led, through a series of researches conducted in various archives of Southern Italy, to its identification with The Adoration of the Magi painted by Joos van Cleve at the beginning of the 16th century and today preserved in the Capodimonte Museum. The essay also contains new considerations around the complex critical and physical history of the painting, the historical context in which it was born and the building that has kept it for centuries.



•  Domenico Pisani, L'adorazione dei Magi: un trittico di Joos Van Cleve tra Bovalino e Napoli. Recuperi archivistici.
 Il ritrovamento di alcuni documenti della fine del XVIII secolo, custoditi presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, ha permesso la ricostruzione delle vicende storiche relative al trasferimento del trittico di Joos Van Cleve, raffigurante L’Adorazione dei Magi, da Bovalino, in Calabria, a Napoli. Il 10 settembre 1791, giunse a Catanzaro un dispaccio reale firmato dal Segretario di Stato Carlo de Marco, con il quale Ferdinando di Borbone espresse la volontà di esporre l’opera nella sua Galleria di Pitture e raccomandò di consegnarla a Domenico Venuti, intendente della Real Fabbrica di Porcellane di Capodimonte. Si occuparono dell'iter burocratico della pratica il Preside di Catanzaro Pietro Paolo Remon e l’Ispettore di Cassa Sacra Francesco Saverio de Rogatis: tramite i loro buoni uffici, in poco meno di due mesi, il dipinto fu requisito, imbarcato su una feluca e spedito a Napoli. Alcuni dei documenti ritrovati raccontano le fasi concitate che portarono alla sua partenza e la fiera opposizione dei cittadini di Bovalino mentre altri ne documentano lo status all’indomani del terremoto del 1783 insieme ad altre opere d’arte custodite nel convento dei francescani riformati.

The Adoration of the Magi: an triptych by Joos Van Cleeve Between Bovalino and Naples. Archival recoveries. 
The discovery of some documents of the late eighteenth century, stored at the State Archives of Catanzaro, has allowed the reconstruction of the historical events related to the transfer of the triptych by Joos Van Cleve, depicting The Adoration of the Magi, once held in Bovalino, in Calabria, and today exhibited in Naples in the Capodimonte Museum.  On September, 10  1791, a royal dispatch arrived in Catanzaro signed by the Secretary of State Carlo de Marco, with whom Ferdinando di Borbone expressed his willingness to exhibit the work in his Gallery of Paintings and recommended to deliver it to Domenico Venuti, at that time intendant of the Real Factory of Porcelain of Capodimonte. The Dean of Catanzaro Pietro Paolo Remon and the inspector of the Cassa Sacra Francesco Saverio de Rogatis took care of the practice: through their good offices the triptych was confiscated, packed and sent to Naples with a felucca in just two months. Some of the documents found, clearly show the excited steps that led to its departure and the fierce opposition of the citizens of Bovalino while others documents focused the state in the aftermath of the earthquake of 1783 along with other works of art kept in the convent of the Padri Riformati.



• Mario Panarello, Il repertorio della decorazione trionfale e il revival dei trofei tra scultura e architettura in Calabria attorno alla metà del XVI secolo.
 Il passaggio trionfale di Carlo V negli ultimi mesi del 1535 per molti centri calabresi, dopo i trionfi siciliani e quelli che lo attenderanno nel resto della penisola italiana, segnò per la regione non solo la presa di coscienza di un  nuovo assetto politico, ma anche l’occasione per molti artisti e artigiani operanti sul territorio a sperimentare un linguaggio architettonico e decorativo, messo a punto negli apparati effimeri, consono all’occasione. Quindi partendo da questo presupposto il saggio si propone di indagare le dinamiche di affermazione e diffusione di codici di matrice trionfale che dagli apparati effimeri, in modo specifico quelli predisposti per la città di Cosenza per il passaggio del novello imperatore, sarebbero passati a caratterizzare portali e monumenti del Cinquecento; dai trofei d’armi, alle vittorie alate, accostate ad un esercizio sul tema architettonico dell’arco di trionfo, attraverso elaborazioni di maestranze toscane attive nella regione e di altre successive realizzazioni di maestranze autoctone. Il percorso si snoda, facendo perno sui modelli antichi, fra esempi romani, napoletani e messinesi, tentando di contenere un fenomeno suscettibile di altri sviluppi di ricerca che ha caratterizzato altre aree della penisola, ma che in Calabria ha trovato sino al Settecento significativi risvolti, mediati anche dalla trattatistica.

The repertoire of the triumphal decoration and the revival of the trophies between sculpture and architecture in Calabria around the middle of the 16th century. 
The triumphal passage of Charles V in the last months of 1535 in many Calabrian centers, after his former Sicilian triumphs, and those ones followed in the rest of the Italian peninsula, marked for the region not only the awareness of a new political order, but also the opportunity for many artists and artisans working in the area to experiment with an architectural and decorative language to be developed in the ephemeral apparatuses created for this occasion. Therefore starting from this assumption the essay proposes to investigate the dynamics of affirmation and diffusion of the codes of triumphal matrix that from the ephemeral apparatuses, specifically those ones predisposed by the city of Cosenza for the passage of the new emperor, would have gone on to characterize portals and monuments of the sixteenth century; from the trophies of arms, to the winged victories, combined with an exercise on the architectural theme of the triumphal arch, through elaborations of Tuscan workers active in the region and other successive achievements of native craftsmen. The path runs, starting from ancient models, including those ones derived from Rome, Naples and Messina, trying to contain a phenomenon susceptible to other research developments that has characterized other areas of the peninsula, but that in Calabria has found significant aspects up to the eighteenth century, mediated also by the related written treatises.



•  Franca C. Papparella, Il Santuario dei Santi Cosma e Damiano di Riace: offerte di ex voto in cera e rito dell’incubatio.
La Calabria è un territorio ricco di testimonianze religiose e di fede. Dei 173 santuari presenti nella Regione si è voluto analizzare quello dei Santi Anargiri Cosma e Damiano. Un santuario ricco di tradizioni, dove si possono leggere pratiche cultuali antiche. L’offerta di ex voto in cera, la pratica dell’incubatio sono le prove di quella continuità cultuale dal paganesimo al cristianesimo. La lettura corretta dei gesti, degli atteggiamenti, delle diverse forme cultuali, può aprire scenari interessanti nella disamina della religiosità dell’Uomo nei confronti del divino.

The Sanctuary of the Saints Cosma and Damiano of Riace: offers of ex voto in wax and ritual of the incubatio 
Calabria is a territory rich in religious and faith testimonies. Among the 173 sanctuaries present in the Region we wanted to analyze that one of the Saints Anargiri Cosma and Damiano. A sanctuary full of traditions, where ancient cult practices can be read. The offer of ex voto in wax, the practice of incubation are the proofs of that continuity of worship from paganism to Christianity. The correct reading of gestures, attitudes, and different forms of worship can open interesting scenarios in the examination of the religiosity of Man towards the divine.


• Domenico Capponi, Pietro Campagna, Pietro Comito, Genesi e committenza dei dipinti di Zimatore e Grillo presso il Santuario dei Santi Cosimo e Damiano di Riace.
 Il saggio è incentrato sul recupero archivistico di un contratto relativo alle pitture murali del Santuario di Riace, dedicato ai Santi Anargiri Cosimo e Damiano. Fu sottoscritto a Riace il 4 giugno 1916, dai pittori di Pizzo Calabro Carmelo Zimatore e Diego Grillo e dal canonico don Biagio Alvaro, delegato del vescovo Eugenio Tosi e amministratore del santuario. E’ possibile ricostruire le fasi della realizzazione del ciclo pittorico decorativo anche tramite la consultazione dei libri contabili dove sono annotati i pagamenti dei lavori eseguiti nell’arco di un anno, dal giugno del 1916 al giugno del 1917. L’esecuzione delle pitture murali continuò anche dopo la morte di Carmelo Zimatore, avvenuta nel 1933. Infatti, nel 1942, il nuovo amministratore, l’arciprete don Domenico Antonio Alfarano, incaricò il pittore Diego Grillo di realizzare un nuovo ciclo pittorico nella parte centrale dell’edificio. Il saggio è corredato da fotografie d’epoca che documentano lo stato del Santuario durante la prima metà del XX secolo.

Genesis and commission of the paintings by Zimatore and Grillo at the Sanctuary of Saints Cosimo and Damiano di Riace.
The essay focuses on the archival recovery of a contract relating to the wall paintings of the Sanctuary of Riace, dedicated to the Saints Anargiri Cosimo and Damiano. The contract was signed in Riace on 4 June 1916, by the painters of Pizzo Calabro Carmelo Zimatore and Diego Grillo and by the canon don Biagio Alvaro, delegate of the bishop Eugenio Tosi and administrator of the sanctuary. It is possible to reconstruct the phases of the realization of the decorative pictorial cycle also through the consultation of the accounting books where the payments of the works carried out over a year are noted, from June 1916 to June 1917. The execution of the wall paintings continued even after the death of Carmelo Zimatore, which occurred in 1933. In fact, in 1942, the new administrator, the archpriest don Domenico Antonio Alfarano, commissioned the painter Diego Grillo to create a new pictorial cycle in the central part of the building. The essay is accompanied by vintage photographs that document the state of the Sanctuary during the first half of the twentieth century.



• Maria Teresa Sorrenti, Una spettabile reliquia del Cinquecento. Il Santo Stefano Protomartire della Cattedrale di Reggio Calabria.
 Il contributo ripercorre le vicende conservative della scultura lignea raffigurante Santo Stefano Protomartire proveniente dall’antica Cattedrale reggina. Il manufatto, recentemente restaurato nell’ambito di un progetto di valorizzazione dei musei diocesani calabresi, era originariamente collocato nell’omonimo sacello cinquecentesco, fondato dall’arcivescovo Guglielmo IV della nobile famiglia Logoteta. Trascurato nel corso delle ristrutturazioni ottocentesche occorse alla Cattedrale a seguito del terremoto del 1783, il manufatto di pregevole fattura, databile all’ultimo decennio del ‘500, è ricordato nelle Visite pastorali tra XVII e XIX secolo e considerato dalla storiografia locale una spettabile reliquia. Il restauro, filologicamente corretto e supportato da una campagna diagnostica, ha consentito una più attenta lettura dell’opera, avvilita non solo da gravi perdite di materia originaria ma da malaccorti interventi di primo ‘900; ne sono emerse tangenze culturali e figurative con la coeva produzione siciliana di ambito calamecchiano che, ampiamente documentata anche nella provincia reggina, è stata finora indagata soprattutto in relazione ai manufatti marmorei, molto meno per quelli lignei.
 
Una spettabile reliquia del Cinquecento. The Santo Stefano Protomartire of the Cathedral of Reggio Calabria.
This contribution traces the conservative events of the wooden sculpture representing Santo Stefano Protomartire from the ancient Cathedral of Reggio Calabria. The artefact, recently restored as part of a project to enhance the Calabrian diocesan museums, was originally located in the sixteenth-century sacello, founded by the Archbishop William IV of the noble family Logoteta. Neglected in the course of the nineteenth-century renovations that took place in the Cathedral following the earthquake of 1783, the fine work of art, datable to the last decade of the 16th century, is mentioned in all the pastoral visits made between the seventeenth and nineteenth centuries and it was considered by local historiography as a remarkable relic. The restoration, philologically correct and supported by a diagnostic campaign, has allowed a more careful reading of the work, humiliated not only by serious losses of original parts but also by misguided interventions of restoration carried out in the early ‘900; clear cultural and figurative point of contacts with the coeval Sicilian production of calamecchiano style arising out from many studies, and they were, widely documented also in the province of Reggio Calabria. They were better investigated above all in relation to the marble artefacts but much less for the wooden artworks.