Disponibile il volume della rivista numero 17-18, anno IX.
Editoriale
Poi che il grande pittor Preti Mattia/ dal nano Cortis venne arcisfregiato
non volle più restare in San Giovanni/ dove dipinse assai per anni ed anni.
Che ci stava a far lì quel Calabrese/ presso a la porta della sacrestia?
A guardar quei suoi santi ad ogni mese/ crescer di grasso per l’idropesìa?
Dalla sua tomba uscì, tutto adirato;/ e nudo sì com’era è andato via...
in barba ai preti ed alla polizia!/ Or che giova saper dov’egli sia?
Cerchiamo il Cortis dal cervello corto/ almen per impiccarlo dopo morto.
Anche se non si insisterà mai abbastanza sui problemi legati alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale calabrese e sulle colpe in vigilando degli enti preposti alla sua salvaguardia, per evitare di stilare un cahier de doléances che rischia di diventare un motivo ricorrente e privo di effetti, è necessario porre l’accento sulla prevenzione dei rischi legati al danneggiamento o alla perdita di testimonianze del passato: scomodando il Signor de La Palisse, chi entra a contatto con oggetti d’arte deve essere deputato a farlo, senza improvvisazioni. Purtroppo così non è in molte chiese e in molti musei di questa regione, dove incultura e indifferenza verso il patrimonio materiale sussistono anche a causa dalla mancata applicazione delle leggi. Finché ci saranno deroghe nei confronti di “restauri” non autorizzati di oggetti liturgici, dipinti e sculture e non si inaspriranno le pene per i trasgressori, la distruzione del patrimonio sarà generalmente considerata un peccato veniale e verrà operata inesorabilmente. Ciò non esclude la vigilanza sui restauratori “accreditati”, non certo esenti da errori: il sopracitato nano Cortis, protagonista di una poesiola che circolava a Malta dopo la conclusione dei primi restauri ai dipinti pretiani nella cattedrale di San Giovanni, è sempre dietro l’angolo. Come prevenire i danni al patrimonio culturale? Senza cadere nel banale e nel retorico, l’insegnamento della Storia dell’Arte nelle scuole potrebbe avere il suo ruolo se operato con rigore e con competenza. Lasciando da parte i problemi legati all’istruzione, noti a tutti, è necessario porre in evidenza che l’insegnamento di questa materia è una delle grandi questioni culturali di questo Paese, una questione valoriale e identitaria ineludibile. Esiste una evidente asimmetria tra l’interesse del pubblico che insiste agli ingressi dei principali musei italiani e quello suscitato dallo studio della storia dell’arte nelle scuole, perché la disattenzione nei confronti di questa materia è purtroppo politicamente trasversale e nessuno fino ad oggi ha avuto la necessaria lucidità per capire che la tutela e la comprensione del patrimonio partono dalla didattica. Questa materia, che ha una vocazione laboratoriale, non può essere insegnata in maniera obsoleta soltanto con l’uso dei libri di testo, ma necessita della conoscenza di siti internet, della possibilità di ingrandire i dettagli, di studi efficaci che facciano presa sull’attenzione degli allievi, incentivando l’uso delle nuove tecnologie e non reprimendolo a vantaggio di metodi ottocenteschi, da libro Cuore. Ma tant’è: in alcune scuole il numero delle lavagne d’ardesia supera quello delle moderne Lim che, quando sono presenti, vengono confinate in aule inidonee e non sempre facilmente fruibili. Finché non si comprenderà la valenza delle chiavi di lettura del patrimonio culturale si condannerà la storia dell’arte alla marginalità degli studi, creando un vulnus nel bagaglio culturale degli studenti. Se si continuerà, quasi con fastidio, a collocarla all’ultima ora di lezione, si trasmetterà agli studenti quel senso di dequalificazione che porta all’indifferenza. Eppure questa materia, anche se a volte viene dipinta come elitaria, un mistero per pochi iniziati, si può porre in un rapporto dialettico con letteratura, religione, storia e filosofia ed è certamente, al di là degli slogan, la seconda lingua degli italiani, una lingua che contribuisce alla formazione dell’identità nazionale e che permette di appropriarsi di codici interpretativi per la corretta analisi delle opere d’arte. Ecco perché dovrebbe essere appannaggio di docenti specialisti della disciplina. È solo l’educazione alla bellezza e al buon gusto che può limitare quei danni causati dall’incuria che inevitabilmente portano al degrado. I beni architettonici, ad esempio, vengono spesso considerati un inutile fardello o un ostacolo allo svecchiamento, per un malinteso senso del progresso e della modernizzazione, che preoccupa e indigna. I restauri dei palazzi storici di molti paesi calabresi appaiono fuori controllo, a causa dell’uso di colori che collidono con il buon gusto, per non parlare di vetrine da negozio in alluminio o di insegne al neon che insistono su strutture che meriterebbero ben altra considerazione. Una politica miope, indifferente a tutto ciò che non si traduce in voti e clientele, ha vilipeso i beni artistici di questa terra percependoli come “minori”, più appannaggio degli antropologi che degli storici dell’arte, e non come parte integrante di un territorio da tutelare o uno stimolo alla creatività del presente per la costruzione del futuro. Ancora però ci si nasconde dietro l’ordine di priorità: i problemi della Calabria sono tanti ma finche non si comprenderà che la tutela della cultura è destinata a concorrere all’elaborazione di un metodo utile a formare e rafforzare l’identità non ci sarà mai un completo riscatto dalle logiche che tollerano scheletri di cemento armato destinati a stuprare il paesaggio, simboli del “non finito” calabrese.
Abstract
• Pasquale Faenza, Il caso delle colonne lignee del Victoria and Albert Museum di Londra.
Ripercorrendo l’intricata vicenda critica che, da oltre più di un secolo, ruota intorno al gruppo ligneo del Victoria and Albert Museum di Londra è possibile stabilirne l’estraneità dall’abbazia di Santa Maria di Tridetti e in generale dagli ambienti religiosi italo-greci dell’Italia meridionale e della Sicilia. La recente identificazione di un frate francescano, in una delle scene che decora le colonne, pertinenti forse un ambone o una recinzione presbiteriale, consente, infatti, di collegare i manufatti ad una committenza mendicante. Da questo specifico contesto religioso potrebbe derivare il programma iconografico che anima la compagine figurativa, incentrato, a nostro avvisto, sul tema della lotta dei vizi e delle virtù, con espliciti richiami alla Visio Pauli e per mezzo di alcune citazioni alle favole di Esopo, quale metafora del contrasto tra la Superbia e l’Umiltà. Puntuali rimandi agiografici, insieme a fonti d’archivio, offrono spunti di ricerca per azzardare la provenienza delle colonne da una chiesa francescana di Salerno. Particolarmente complessa rimane la disamina dello stile dei rilievi lignei, oggetto quasi certamente di manomissioni e interventi successivi, effettuati nel corso del XIII secolo. Infatti oltre ai modelli decorativi che richiamano importanti opere connesse alla figura di Guglielmo II e al suo più stretto entourage, si sommano linguaggi artistici, tipici dei cantieri sparsi tra la Campania, la Lucania e la Puglia, in diretto contatto con il milieu internazionale della corte sveva, che lasciano supporre l’avvio dei lavori tra il terzo e il quarto decennio del Duecento. Successivamente, entro l’ultimo ventennio del secolo, potrebbe invece collegarsi l’adattamento dell’intera compagine figurativa delle colonne, in linea con la scultura plastica d’età angioina, legata al gusto espressionista di alcune importanti figure artistiche del periodo, come ad esempio Melchiorre da Montalbano.
The case of the wooden columns of the Victoria and Albert Museum in London.
Examining the critical that for over a century turn around the wooden group of the Victoria and Albert museum in London, it is now possible to establish that it is totally unrelated to the Abbey of Santa Maria di Tridetti and in a general way to the religious italo-greek ambience of southern Italy and Sicily. A Franciscan friar having been recently identified in one of the scenes decorating the columns, belonging maybe to an ambo or a presbyteryan inclosure allows us to relate them to a religious mendicant order. From this specific religious context could derive the iconographic program present in the figurative structure that, we believe, is based on the fight between virtues and vices, clearly related to Vision Pauli and through some mention of Esopo’s tales as metaphor of the contrast between humility and pride. Some hagiographic similarity, together with some archives sources, allows us to venture the possibility that the columns could come from a Franciscan church in Salerno. What is particularly difficult is examining the style of these wooden sculptures that have been probably modified in later periods during the 13th century. Actually besides the decorative models that remind us of important elements related to the character of William II and his entourage, there are artistic expressions typical of the sites in the area between Campania, Lucania and Apulia, directly connected with the international milieu of the Suewian court. This suggests the beginning of the work between the third or fourth decade of the year 200. After that, about the last twenty years of the century, the whole group, could be adapted, to the style of the plastic sculpture of the Anjovin period related to some important artist of the period such as Melchiorre di Montalbano.
• Pasquale Blefari, Bovalino e la “celebris imago” del convento di Santa Maria di Gesù: l’Adorazione dei Magi di Joos Van Cleve.
«In templo hius cenobii sunt in ligneis tabulis in altari immagine Regum Christum Dominum in presepe adorantium elegantissimae pictae a celeberrimo Alberto Duro, seu Durerio».
La chiesa citata nel documento (redatto nel 1591 dal vescovo Ottaviano Pasqua) era annessa al convento dei Padri Riformati di Bovalino, dedicato Santa Maria di Gesù, edificata per voto, secondo la tradizione orale e varie fonti, da alcuni mercanti genovesi. Lo studio, incentrato sulla pala d’altare attribuita nel testo addirittura ad Albrecht Dürer, ha portato, tramite ricerche condotte in vari archivi dell’Italia Meridionale, alla sua identificazione con L’Adorazione dei Magi dipinta da Joos van Cleve agli albori del XVI secolo e oggi conservata nel Museo di Capodimonte. Il saggio contiene inoltre nuove considerazioni intorno alla complessa vicenda critica e fisica del dipinto, al contesto storico in cui è nato e all’edificio che lo ha custodito per secoli.
Bovalino and the "celebris imago" of the convent of Santa Maria di Gesù: the Adoration of the Magi of Joos Van Cleve.
«In templo hius cenobii sunt in ligneis tabulis in altari immagine Regum Christum Dominum in presepe adorantium elegantissimae pictae a celeberrimo Alberto Duro, seu Durerio». The church mentioned in the document (written in 1591 by Bishop Ottaviano Pasqua) was annexed to the convent of the Reformed Fathers of Bovalino, dedicated to Santa Maria di Gesù, built by a vote, according to oral tradition and various sources, by some Genoese merchants. The study, focused on the altarpiece attributed in the text to Albrecht Dürer, led, through a series of researches conducted in various archives of Southern Italy, to its identification with The Adoration of the Magi painted by Joos van Cleve at the beginning of the 16th century and today preserved in the Capodimonte Museum. The essay also contains new considerations around the complex critical and physical history of the painting, the historical context in which it was born and the building that has kept it for centuries.
• Domenico Pisani, L'adorazione dei Magi: un trittico di Joos Van Cleve tra Bovalino e Napoli. Recuperi archivistici.
Il ritrovamento di alcuni documenti della fine del XVIII secolo, custoditi presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, ha permesso la ricostruzione delle vicende storiche relative al trasferimento del trittico di Joos Van Cleve, raffigurante L’Adorazione dei Magi, da Bovalino, in Calabria, a Napoli. Il 10 settembre 1791, giunse a Catanzaro un dispaccio reale firmato dal Segretario di Stato Carlo de Marco, con il quale Ferdinando di Borbone espresse la volontà di esporre l’opera nella sua Galleria di Pitture e raccomandò di consegnarla a Domenico Venuti, intendente della Real Fabbrica di Porcellane di Capodimonte. Si occuparono dell'iter burocratico della pratica il Preside di Catanzaro Pietro Paolo Remon e l’Ispettore di Cassa Sacra Francesco Saverio de Rogatis: tramite i loro buoni uffici, in poco meno di due mesi, il dipinto fu requisito, imbarcato su una feluca e spedito a Napoli. Alcuni dei documenti ritrovati raccontano le fasi concitate che portarono alla sua partenza e la fiera opposizione dei cittadini di Bovalino mentre altri ne documentano lo status all’indomani del terremoto del 1783 insieme ad altre opere d’arte custodite nel convento dei francescani riformati.
The Adoration of the Magi: an triptych by Joos Van Cleeve Between Bovalino and Naples. Archival recoveries.
The discovery of some documents of the late eighteenth century, stored at the State Archives of Catanzaro, has allowed the reconstruction of the historical events related to the transfer of the triptych by Joos Van Cleve, depicting The Adoration of the Magi, once held in Bovalino, in Calabria, and today exhibited in Naples in the Capodimonte Museum. On September, 10 1791, a royal dispatch arrived in Catanzaro signed by the Secretary of State Carlo de Marco, with whom Ferdinando di Borbone expressed his willingness to exhibit the work in his Gallery of Paintings and recommended to deliver it to Domenico Venuti, at that time intendant of the Real Factory of Porcelain of Capodimonte. The Dean of Catanzaro Pietro Paolo Remon and the inspector of the Cassa Sacra Francesco Saverio de Rogatis took care of the practice: through their good offices the triptych was confiscated, packed and sent to Naples with a felucca in just two months. Some of the documents found, clearly show the excited steps that led to its departure and the fierce opposition of the citizens of Bovalino while others documents focused the state in the aftermath of the earthquake of 1783 along with other works of art kept in the convent of the Padri Riformati.
• Mario Panarello, Il repertorio della decorazione trionfale e il revival dei trofei tra scultura e architettura in Calabria attorno alla metà del XVI secolo.
Il passaggio trionfale di Carlo V negli ultimi mesi del 1535 per molti centri calabresi, dopo i trionfi siciliani e quelli che lo attenderanno nel resto della penisola italiana, segnò per la regione non solo la presa di coscienza di un nuovo assetto politico, ma anche l’occasione per molti artisti e artigiani operanti sul territorio a sperimentare un linguaggio architettonico e decorativo, messo a punto negli apparati effimeri, consono all’occasione. Quindi partendo da questo presupposto il saggio si propone di indagare le dinamiche di affermazione e diffusione di codici di matrice trionfale che dagli apparati effimeri, in modo specifico quelli predisposti per la città di Cosenza per il passaggio del novello imperatore, sarebbero passati a caratterizzare portali e monumenti del Cinquecento; dai trofei d’armi, alle vittorie alate, accostate ad un esercizio sul tema architettonico dell’arco di trionfo, attraverso elaborazioni di maestranze toscane attive nella regione e di altre successive realizzazioni di maestranze autoctone. Il percorso si snoda, facendo perno sui modelli antichi, fra esempi romani, napoletani e messinesi, tentando di contenere un fenomeno suscettibile di altri sviluppi di ricerca che ha caratterizzato altre aree della penisola, ma che in Calabria ha trovato sino al Settecento significativi risvolti, mediati anche dalla trattatistica.
The repertoire of the triumphal decoration and the revival of the trophies between sculpture and architecture in Calabria around the middle of the 16th century.
The triumphal passage of Charles V in the last months of 1535 in many Calabrian centers, after his former Sicilian triumphs, and those ones followed in the rest of the Italian peninsula, marked for the region not only the awareness of a new political order, but also the opportunity for many artists and artisans working in the area to experiment with an architectural and decorative language to be developed in the ephemeral apparatuses created for this occasion. Therefore starting from this assumption the essay proposes to investigate the dynamics of affirmation and diffusion of the codes of triumphal matrix that from the ephemeral apparatuses, specifically those ones predisposed by the city of Cosenza for the passage of the new emperor, would have gone on to characterize portals and monuments of the sixteenth century; from the trophies of arms, to the winged victories, combined with an exercise on the architectural theme of the triumphal arch, through elaborations of Tuscan workers active in the region and other successive achievements of native craftsmen. The path runs, starting from ancient models, including those ones derived from Rome, Naples and Messina, trying to contain a phenomenon susceptible to other research developments that has characterized other areas of the peninsula, but that in Calabria has found significant aspects up to the eighteenth century, mediated also by the related written treatises.
• Franca C. Papparella, Il Santuario dei Santi Cosma e Damiano di Riace: offerte di ex voto in cera e rito dell’incubatio.
La Calabria è un territorio ricco di testimonianze religiose e di fede. Dei 173 santuari presenti nella Regione si è voluto analizzare quello dei Santi Anargiri Cosma e Damiano. Un santuario ricco di tradizioni, dove si possono leggere pratiche cultuali antiche. L’offerta di ex voto in cera, la pratica dell’incubatio sono le prove di quella continuità cultuale dal paganesimo al cristianesimo. La lettura corretta dei gesti, degli atteggiamenti, delle diverse forme cultuali, può aprire scenari interessanti nella disamina della religiosità dell’Uomo nei confronti del divino.
The Sanctuary of the Saints Cosma and Damiano of Riace: offers of ex voto in wax and ritual of the incubatio
Calabria is a territory rich in religious and faith testimonies. Among the 173 sanctuaries present in the Region we wanted to analyze that one of the Saints Anargiri Cosma and Damiano. A sanctuary full of traditions, where ancient cult practices can be read. The offer of ex voto in wax, the practice of incubation are the proofs of that continuity of worship from paganism to Christianity. The correct reading of gestures, attitudes, and different forms of worship can open interesting scenarios in the examination of the religiosity of Man towards the divine.
• Domenico Capponi, Pietro Campagna, Pietro Comito, Genesi e committenza dei dipinti di Zimatore e Grillo presso il Santuario dei Santi Cosimo e Damiano di Riace.
Il saggio è incentrato sul recupero archivistico di un contratto relativo alle pitture murali del Santuario di Riace, dedicato ai Santi Anargiri Cosimo e Damiano. Fu sottoscritto a Riace il 4 giugno 1916, dai pittori di Pizzo Calabro Carmelo Zimatore e Diego Grillo e dal canonico don Biagio Alvaro, delegato del vescovo Eugenio Tosi e amministratore del santuario. E’ possibile ricostruire le fasi della realizzazione del ciclo pittorico decorativo anche tramite la consultazione dei libri contabili dove sono annotati i pagamenti dei lavori eseguiti nell’arco di un anno, dal giugno del 1916 al giugno del 1917. L’esecuzione delle pitture murali continuò anche dopo la morte di Carmelo Zimatore, avvenuta nel 1933. Infatti, nel 1942, il nuovo amministratore, l’arciprete don Domenico Antonio Alfarano, incaricò il pittore Diego Grillo di realizzare un nuovo ciclo pittorico nella parte centrale dell’edificio. Il saggio è corredato da fotografie d’epoca che documentano lo stato del Santuario durante la prima metà del XX secolo.
Genesis and commission of the paintings by Zimatore and Grillo at the Sanctuary of Saints Cosimo and Damiano di Riace.
The essay focuses on the archival recovery of a contract relating to the wall paintings of the Sanctuary of Riace, dedicated to the Saints Anargiri Cosimo and Damiano. The contract was signed in Riace on 4 June 1916, by the painters of Pizzo Calabro Carmelo Zimatore and Diego Grillo and by the canon don Biagio Alvaro, delegate of the bishop Eugenio Tosi and administrator of the sanctuary. It is possible to reconstruct the phases of the realization of the decorative pictorial cycle also through the consultation of the accounting books where the payments of the works carried out over a year are noted, from June 1916 to June 1917. The execution of the wall paintings continued even after the death of Carmelo Zimatore, which occurred in 1933. In fact, in 1942, the new administrator, the archpriest don Domenico Antonio Alfarano, commissioned the painter Diego Grillo to create a new pictorial cycle in the central part of the building. The essay is accompanied by vintage photographs that document the state of the Sanctuary during the first half of the twentieth century.
• Maria Teresa Sorrenti, Una spettabile reliquia del Cinquecento. Il Santo Stefano Protomartire della Cattedrale di Reggio Calabria.
Il contributo ripercorre le vicende conservative della scultura lignea raffigurante Santo Stefano Protomartire proveniente dall’antica Cattedrale reggina. Il manufatto, recentemente restaurato nell’ambito di un progetto di valorizzazione dei musei diocesani calabresi, era originariamente collocato nell’omonimo sacello cinquecentesco, fondato dall’arcivescovo Guglielmo IV della nobile famiglia Logoteta. Trascurato nel corso delle ristrutturazioni ottocentesche occorse alla Cattedrale a seguito del terremoto del 1783, il manufatto di pregevole fattura, databile all’ultimo decennio del ‘500, è ricordato nelle Visite pastorali tra XVII e XIX secolo e considerato dalla storiografia locale una spettabile reliquia. Il restauro, filologicamente corretto e supportato da una campagna diagnostica, ha consentito una più attenta lettura dell’opera, avvilita non solo da gravi perdite di materia originaria ma da malaccorti interventi di primo ‘900; ne sono emerse tangenze culturali e figurative con la coeva produzione siciliana di ambito calamecchiano che, ampiamente documentata anche nella provincia reggina, è stata finora indagata soprattutto in relazione ai manufatti marmorei, molto meno per quelli lignei.
Una spettabile reliquia del Cinquecento. The Santo Stefano Protomartire of the Cathedral of Reggio Calabria.
This contribution traces the conservative events of the wooden sculpture representing Santo Stefano Protomartire from the ancient Cathedral of Reggio Calabria. The artefact, recently restored as part of a project to enhance the Calabrian diocesan museums, was originally located in the sixteenth-century sacello, founded by the Archbishop William IV of the noble family Logoteta. Neglected in the course of the nineteenth-century renovations that took place in the Cathedral following the earthquake of 1783, the fine work of art, datable to the last decade of the 16th century, is mentioned in all the pastoral visits made between the seventeenth and nineteenth centuries and it was considered by local historiography as a remarkable relic. The restoration, philologically correct and supported by a diagnostic campaign, has allowed a more careful reading of the work, humiliated not only by serious losses of original parts but also by misguided interventions of restoration carried out in the early ‘900; clear cultural and figurative point of contacts with the coeval Sicilian production of calamecchiano style arising out from many studies, and they were, widely documented also in the province of Reggio Calabria. They were better investigated above all in relation to the marble artefacts but much less for the wooden artworks.