Editoriale
di Monica De Marco
L’OTIUM, LA RICERCA STORICA E I NUOVI MEDIA
Pur senza compiere un vero e proprio sondaggio, semplicemente affacciandosi di tanto in tanto nelle sale studio degli archivi calabresi, si può affermare che la ricerca d’archivio nella nostra regione, e forse non solo, è sempre di più appannaggio dei pensionati, frequentatori assidui, che si vedono talora affiancati da qualche sparuto studente alle prese con la tesi di laurea. È un fenomeno per certi versi ovvio, visto che la ricerca in Italia, meno che mai quella storica, non solo non è ripagata ma non è avvertita come risorsa né dalle istituzioni né dalle comunità. Conversando con questi ricercatori per vocazione, a volte tardiva - ma questo conta poco - si scopre che ci si ritrova davanti a persone provenienti dalle più disparate categorie professionali, dagli insegnanti agli avvocati, dai medici agli operai. Bisogna ammettere che la ricerca scientifica in diversi casi deve proprio a questi studiosi per diletto , mossi esclusivamente dal desiderio di recuperare la propria storia, scoperte ed indicazioni fondamentali per il progresso degli studi, pur essendo di rado disposta ad ammetterlo. Vi sono, inoltre, nel fenomeno altri risvolti su cui occorrerebbe riflettere. Innanzitutto, si tratta di un procedere che implicitamente è governato da un proprio metodo, basato sulla centralità delle persone rispetto all’oggetto della ricerca. Questa tendenza ad assumere il dato umano quale punto di partenza dell’indagine determina una forte integrazione delle testimonianze orali rispetto alle fonti scritte e a quelle archivistiche, anche se a volte la mancanza di un’idonea metodologia impedisce di imbastire un discorso storico attendibile. In un certo senso è un ulteriore esito di quel fenomeno di democratizzazione della cultura che ha senz’altro subito una forte accelerazione con la comparsa del mezzo informatico. Internet è il veicolo privilegiato di una sorta di cultura parallela, dove, come in un crogiuolo, confluiscono informazioni di natura diversa e di cui è sempre molto difficile verificare l’attendibilità. Tuttavia, il fenomeno sottende un dato di fatto inconfutabile: la forte domanda di conoscenza che investe principalmente il campo storico, ma anche quello storico-artistico, in particolare se connesso all’esplorazione delle risorse cultural i- e di riflesso turistiche - del territorio. Nel contempo si registra un difficoltà di dialogo con i “detentori” del sapere scientifico, probabilmente a causa di quell’aura di intoccabilità, di “aristocratico” distacco che sovente scoraggia qualsiasi approccio. Ci si perdoni il tono - al consueto tra l’ironico e il sarcastico - ma resta il fatto che oggi anche gli specialisti, pur rifiutandosi generalmente di ritenere un sito web citabile in una bibliografia che si rispetti, non possono fare a meno di ricercare informazioni tramite i canali della rete. In realtà, le fonti telematiche andrebbero considerate alla stregua di tutte le altre e assoggettate agli stessi criteri metodologici. In sostanza, ciò che fa la differenza è, per usare un termine in voga, è la “tracciabilità” del percorso di ricerca che sta a monte della singola informazione, dando per scontata, anche nei casi in cui vi fossero chiari riferimenti bibliografici, la necessità di procedere ad una diretta verifica delle fonti citate. Diversamente, qualora non ve ne fossero i presupposti, l’informazione reperita va intesa semplicemente quale input per impostare una sorta di percorso di ricerca a posteriori che potrebbe rivelarsi poco agevole. Del resto, in un mercato in cui prendono sempre più piede le edizioni elettroniche, gli e-book, a fianco o in alternativa al cartaceo, non avrebbe senso discriminare quelle pubblicazioni, anche non banali – basti pensare alle tesi di dottorato- che veicolano solo, o principalmente, attraverso la rete. Crediamo dunque, che, soprattutto quando si attingono da questo genere di fonti dati diversamente inediti, bisognerebbe avere l’onesta di dichiarare apertamente la sorgente dell’informazione. Altro discorso è l’uso del web come lo intendono, purtroppo, tanti studenti, anche universitari, che finiscono per costruire intere tesi attraverso un collage quasi meccanico di copia/incolla, dimostrando di non aver recepito alcun indirizzo metodologico.
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