Editoriale
di Monica De Marco
SUI BINARI DELLA RICERCA: MOTIVAZIONI IDEALI E ISTANZE METODOLOGICHE
Che senso può avere, oggi, scegliere come oggetto dell’indagine storica un patrimonio artistico, tutto sommato alquanto modesto, come quello calabrese? E’ l’interrogativo che prima o poi giunge a porsi chiunque si dedichi a tale campo di ricerca. Sicuramente si tratta di studi che generalmente non solo non aiutano molto a fare carriera negli ambiti accademici, ma per giunta rischiano di porre in cattiva luce chi li pratica attirandogli la bolla del provincialismo. A questo bisogna aggiungere il fatto che i risultati scientifici conseguiti non destano sovente l’interesse sperato. Di fatto, allo sguardo esterno di uno studioso avvezzo a manipolare argomenti decisamente più aulici, il patrimonio calabrese può apparire desolante e, anche se talora con sguardo compassionevole siano disposti ad ammettere che pure non manchino le testimonianze di un certo interesse, mai si adopererebbero ‘’seriamente’’ a perderci sopra del tempo per uno studio globale come si farebbe se ci si trovasse a Roma o a Firenze. Eppure, sebbene, lo ammettiamo, alquanto meschino, e anche peggio se si tengono in conto fattori come il contesto e il degrado, il patrimonio ‘’locale’’ deve esse studiato e non si può farlo che attraverso gli strumenti metodologici approntati dalla ‘’grande’’ storiografia e con la medesima serietà. Del resto, la comprensione dei fenomeni locali, per quanto modesti, non può prescindere dai nessi genetici con i ben più pregnanti sviluppo della ‘’grande’’ storia. Non intendiamo affermare che per studiare il patrimonio regionale occorra essere necessariamente calabresi, nel qual caso verremmo immediatamente smentiti da illustri esempi come Paolo Orsi, ma senz’altro è difficile farlo se non si è spinti da profonde motivazioni ideali. Ci piace qui riportare quanto scritto da Luigi Accattatis a proposito dell’amico Vito Capialbi, che fu tra i pionieri in questo campo, pur con tutti i limiti che lo confinarono nell’ambiente dell’erudizione ottocentesca: «Soleva dire che la storia di tale piccolo comunello della Calabria era tale impresa, che a volerla condurre bene a termine spaventava i più arditi». E ancor prima: «Aveva compreso l’importanza delle piccole cose, o per meglio dire era persuaso che in fatto di ricerche storiche piccole cose non si hanno». Sono qui tracciate le coordinate fondamentali che orientano gli studi ‘’locali’’: da un lato il percorso accidentato di una ricerca spesso costretta ad avanzare con scarsi appigli documentari, dall’altro la consapevolezza che la tendenza a misurare il valore dello studio sull’importanza che si attribuisce nell’ottica comune all’oggetto dello stesso ha tutti i limiti del pregiudizio. Pregiudizio che è alla base di quella sorta di complesso di inferiorità latente che ostacola la capacità dei calabresi di riappropriarsi della propria storia. Come ebbe a scrivere Maria Pia Di Dario, in relazione alla responsabilità degli organi preposti ai Beni Culturali rispetto alla stato di abbandono in cui versano le testimonianze artistiche e storiche specie nel Sud, «le motivazioni profonde anche degli orientamenti burocratici ci sono da imputare ai preconcetti della storiografia nei riguardi della cultura artistica delle regioni meridionali che contribuiscono a condizionare anche le provvidenze pubbliche di tutela e di conservazione». In tale situazione l’unica via percorribile per una rivalutazione degli aspetti della cultura meridionale è quella della ricerca scientifica che partendo da un attento scrutinio delle opere e dei documenti le ponga nei loro giusti contesti storici e culturali contribuendo alla ricostruzione della storia culturale della regione’’. Da qui la responsabilità dello storico e tulle le complesse implicazioni culturali, sociali, persino economiche, che possono scaturire da un ‘’prodotto’’ apparentemente di nicchia, come quello della ricerca. Siamo giunti al secondo numero e, anche in questo caso, non possiamo fare a meno di ringraziare quanti hanno concorso alle spese di stampa: in primo luogo l’Amministrazione Provinciale di Vibo Valentia, ma anche i soci e sostenitori che hanno creduto e continuano a credere nell’iniziativa. Un ringraziamento particolare a Nino Aiello per il generoso contributo e a Fabio De Chirico, Soprintendente BSAE della Calabria, per la sua cortese disponibilità.
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