mercoledì 15 aprile 2020

Editoriale Anno V, 9-10, 2012, di Domenico Pisani

Anno V, nn. 9-10, gennaio - dicembre 2012

Editoriale


di Domenico Pisani

IN CALABRIA TRA ARTE E FEDE: PROBLEMI DI TUTELA DEI BENI CULTURALI


«Le ragnatele| dietro i vetri, le madonne| le ragnatele del Carmine| la ragnatela di Portosalvo| la ragnatela della Quercia». Così recitano alcuni versi tratti dal Canto dei nuovi emigranti (1964) di franco Costabile, poeta di Sambiase, uno dei più importanti del Novecento calabrese, Rileggendoli sembra di poter toccare con mano l’incuria , l’abbandono in cui versano diverse chiese, sparse per la Calabria, piccoli contenitori di capolavori d’arte misconosciuti. In molti paesi, infatti, il Concilio Vaticano II, gli altari laterali, caduti in disuso, furono in alcuni casi smantellati e in altri dimenticati segnando il loro degrado, Stessa fine fecero gli affreschi, imbiancati a calce, e gli arredi sacri, come le cartagloria, i candelabri, le cornucopie e le lampade votive, spesso realizzate on argento. Nel corso della campagna fotografica e di studio sulle statue lignee serresi, pubblicata in questo numero, non è stato raro imbattersi in opere, che solo qualche anno fa possedevano ancora le loro cromie originali, malamente imbrattate da incompetenti con smalti sintetici. Certo, la spinosa questione del “rinnovo” delle statue lignee andrebbe affrontata in modo chiaro: per culpa in vigilando di più d’uno , e pro bono pacis verso una Chiesa spesso disattenta nei confronti delle problematiche artistiche, improvvisati restauratori hanno avuto agio di ridipingere a smalto, deturpare, violentare le più belle statue lignee della Calabria inficiando spesso ogni possibilità attributiva e seppellendo le firme degli statuari, apposte sulle iscrizioni dedicatorie delle basi, sotto molti strati di colore. La cancellazione della memoria viene così operata sistematicamente, lentamente e inesorabilmente. Vi sono molti esempi del genere: il rinnovo delle statue, degli altari, di settecentesche porte bugnate destinate a legna da ardere e sostituite con opere nuove, è passato come un ciclone distruttivo a causa di un’ansia compulsiva da ammodernamento tra gli applausi di chi gode nel vedere colori brillanti, magari acrilici, spennellati sulle superfici scolpite. Queste considerazioni, purtroppo non sono nuove: si obietta che la casa di Dio non è un museo – o che le istanze della devozione collidono con il rispetto tout court delle opere antiche – ignorando i principi della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. E intanto le sculture lignee processionali, che giacciono chiuse in teche rovinate o in nicchie scrostate e impolverate, attendono il pennello innovatore di qualche “dotto” che sposta e distrugge, acquiescente verso chi lo mantiene. Oggi gli scultori e gli intagliatori, in passato definiti con dispregio “santari”, hanno acquisito una dignità tale da essere considerati veri e propri maestri della scultura lignea, i cui esiti sono presi in considerazione da rari nantes della ricerca artistica. Le loro opere devono essere lette, diversamente da altri manufatti, insieme alle oreficerie di corredo e agli aneddoti che ne costituiscono parte integrante. Si prestano ad indagini sociologiche ed antropologiche, raccontano la religiosità popolare e sono un elemento fondamentale delle microstorie dei luoghi. Sono frutto materiale di sacrifici dovuti alle confraternite laicali che per agevolare le pratiche di pietà hanno fatto realizzare nel tempo insegne, attributi iconografici di santi, ma soprattutto imponenti fercoli processionali che, devastati oggi dal porporina, hanno perso l’originale meccatura o, addirittura, la doratura a foglia. La sensibilizzazione nei confronti di un patrimonio così importante è uno dei compiti di questa rivista che si propone di far conoscere i beni culturali regionali per favorirne la tutela. Solo con questa finalità, che dovrebbe accomunare tutti, senza preclusione alcuna, la divulgazione del patrimonio artistico permette di acquisire la consapevolezza delle radici storiche della Calabria, a partire dalla cultura materiale delle classi subalterne. "Esperide", infatti, è nata come un tentativo, frutto della sinergia di archeologi, di storici dell’arte, di restauratori ma anche di appassionati e cultori della materia, di ragionare su ciò che questa regione possiede, in maniera libera senza condizionamento alcuno, men che mai politico, considerato che non gode di finanziamenti pubblici, per tramandarlo a chi vorrà fruirlo, nella sua interezza, ricordando sempre che tempus edax, homo edacior.

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